Ci segnalano i nostri contatti la screen di un articolo di Repubblica dedicato alla “bandiera russa ad Avdiivka”, città simbolo delle concitate fasi del conflitto in cui l’Ucraina si scontra non solo con la Russia ma con la carenza di proiettili e la riduzione degli aiuti da quell’Occidente che invece avrebbe tutto l’interesse a difendersi.
Perché difendendo l’Ucraina difende se stesso dalle ambizioni imperialiste del nuovo Zar. Ci viene segnalato il fatto che quella bandiera non è la bandiera russa, ma il vessillo dell’URSS.
Corrretto, ma non è neppure sbagliato ammettere che per chi ha piantato il vessillo quello era un simbolo Russo, dell’attuale Russia.
Il Putinismo militante è infatti una emanazione diretta del passato sovietico Russo.
Non solo per motivi empirici, ovvero per il fatto che Navalny sia tecnicamente morto in un gulag staliniano concepito in modo da essere eretto in un luogo con condizioni incompatibili con la vita umana allo scopo di trasformare la condanna al confino degli oppositori in una pena corporale di fatto, se non una condanna a morte.
Ma perchè l’intera propaganda di Putin si nutre di una continuità con un “glorioso passato Bolscevico”.
Vorremmo ricordare a chi ha segnalato la cosa che non è la prima volta che la Russia stessa si dimentica della propria bandiera per appiccicare, anzi, ostentare falci e martelli su sfondo rosso assieme alla Z del nuovo Putinismo.
Carri armati con la “bandiera rossa” eretta assolvono uno scopo preciso: lodare la gloria della Russia, porla in un una specie di “Età dell’Oro” mitica e irraggiungibile e incolpare l’Occidente con ogni mezzo di avergliela rubata.
Se pensate siano tratti in comune col complottismo più becero, non siete distanti dal vero.
Nel momento storico della Guerra Fredda l’URSS era la Seconda Superpotenza Mondiale, titano che combatteva da pari a pari gli USA.
Il tracollo dell’URSS nel putinismo è una sconfitta nazionale da vendicare: la Russia deve tornare grande (non a caso, torna un momento di contatto con simili culti della personalità come il Trumpismo, dove l’identificazione Leader-Nazione porta al desiderio di “far tornare grande la nazione” come mezzo per la sconfitta del nemico) e ha bisogno di attribuire la colpa dei suoi guai alle influenze esterne.
La Russia era gloriosa, il Comunismo Sovietico era glorioso, non sono caduti per caso ma perché l’America ha trionfato con le forze del male. Ergo la Russia deve sconfiggere il nuovo Ordine Mondiale, vendicarsi dell’America e spodestarla dal suo “trono”.
Il mezzo è colpire l’Unione Europea che, a dire loro, si è schierata per mantenere la Russia sottomessa e l’America gloriosa e non viceversa come “era giusto che fosse”.
E per farlo, bisogna annientare l’Ucraina fisicamente e aspergerla di simboli bolscevichi con lo stesso uzzolo del cane che alza la zampa per rivendicare il territorio.
Parliamo della teoria dell’ultimo Domino: come le tessere del domino, la Guerra Fredda si basava su un precario equilibrio. La convinzione che la “Cortina di Ferro” tra NATO e Patto di Varsavia fosse necessaria e che se uno dei due contendenti avesse sconfinato, esattamente come le tessere del domino il primo stato a saltare oltre confine si sarebbe portato via tutti gli altri in un effetto a catena che avrebbe sfasciato il suo blocco e incoronato ultima Superpotenza rimasta l’altra.
La Caduta del Muro, momento di festa gioiosa e speranza di cambiamento, aveva lasciato in molti fautori di quella teoria l’amaro sapore in bocca di una “sconfitta”.
Varsavia non c’era più, l’Europa era più vicina per tutti, il che signficava che quelle tessere del domino ormai erano cadute.
La Falce e il Martello col tempo erano diventate qualcosa di altro. Non più il simbolo del Comunismo, non più il simbolo dell’URSS, ma il simbolo di un dominio assoluto e incontrastato in grado di tenere ben stretto il “blocco Sovietico” e contrapporlo al “blocco Occidentale”.
Alla fine dei giochi, c’è chi ha visto la speranza di una pace nel mondo, Rocky che affronta Ivan Drago con lealtà e, dopo averlo sconfitto fisicamente e moralmente rifutandosi di restare a terra dopo i potenti colpi dell’avversario, chiude l’incontro con un messaggio di pace e speranza auspicando che tutto il mondo “possa cambiare” e riunirsi in pace.
Il che ci porta al secondo punto dell’esposizione
Il Dottor Bessinger, Università di Princeton, descrive le scene di carri armati e mezzi militari bolscevichi
“Le occasioni in cui bandiere Sovietiche appaiono sui mezzi militari non devono essere interpretate come il bisogno di ristabilire il potere Sovietico, ma come il bisogno di ristabilire il dominio dei Russi sull’Ucraina.
Questi video mostrano esempi di singoli soldati che attaccano bandiere rosse a carri e veicoli. Possono esserci rimasti dei comunisti nei ranghi dell’esercito (del resto il partito Comunista russo ha ricevuto il 19% dei voti alle scorse elezioni). E c’erano comunisti tra i ribelli nell’Ucraina dell’est. Del resto le repubbliche del Donbass sono state chiamate “Repubbliche del popolo”, la stessa terminologia che i sovietici usavano per controllare gli stati esteri nel loro impero”
L’intera narrativa russa si poggia infatti sul concetto di “denazificazione”.
Sostanzialmente il Cremlino si rimpiange leader del “blocco Sovietico”, unico argine contro il “nazifascismo”.
Concetto usato tra virgolette perché per essere etichettati nazifascisti dalla narrativa pro-Cremlino basta semplicemente essere contro il Cremlino stesso.
È una insidiosa narrativa, registrata da Marcus Kolga and Josh Gold come parte della narrativa FiloRussa e come strategia che, nel nostro piccolo, abbiamo visto usata dai peggiori troll su Twitter.
“Se non sei con noi, sei contro di noi. E se noi siamo la Falce e il Martello che hanno sconfitto il nazismo, ovviamente sei un pericoloso nazifascista, dobbiamo denazificarti, ti disconosciamo anche la dignità di uno scontro militare sul campo perché sei meno che noi”.
Narrativa che mescola desideri di grandezza, rivincita sociale e riscrittura creativa della storia.
Si parla di una strumentalizzazione Putiniana della vittoria sul nazifascismo già dal 2018: una riscrittura della storia ondivaga verso gli Alleati.
Alleati che a volte diventano un nemico, a volte degli “ingrati” che hanno relegato la Russia al rango di povera e miserabile Cenerentola vestita di stracci guardata in tralice da USA ed Europa, novelle sorellastre di Biancaneve accusate di usarne le risorse e di mentenerla in stato di servaggio, cenciosa e derisa.
Lo scopo finale non è più “denazificare l’Ucraina”, a meno che non si voglia ritenere la Finlandia un “pericoloso covo di nazisti”.
Lo scopo finale è sostanzialmente riprendersi lo stato di “Secondo Blocco nel Mondo”, e cercare una rivicita contro la NATO e il Blocco Occidentale.
Praticamente l’immagine di un Ivan Drago ormai fuori controllo e fuori forma che si scaglia contro Rocky urlando che pretende la rivincita, che rivuole il suo onore e che non è più pronto a passare alla storia come quello sconfitto in Rocky IV.
Quelle bandiere hanno anche un ulteriore significato, e ancora più amaro. Nella narrativa filorussa, come confermato dal citato Beissinger sostanzialmente l’Ucraina non esiste.
L’intera storia nella “denazificazione” è stata riscritta perché l’Ucraina sia vista come un sottoprodotto della Russia, creata a tavolino senza “una stabile tradizione come nazione a se stante” e legata da un rapporto di fratellanza con la Madre Russia che le loro azioni avrebbero spezzato.
Una visione tremendamente paternalistica, insegnata nelle scuole primarie ai bambini con la grottesca metafora dell’Ucraina come un bambino “un po’ bullo” che viene picchiato “con amore” dal bimbo Russo per la colpa di essersi fatto “traviare” dai bambini occidentali perché torni umile e sottomesso all’amico bimbo Russo.
Visione nella quale la bandiera rossa diventa il simbolo di quel bambino Russo arrivato a sorpresa nella classe del compagno Ucraino per “riprenderselo” con qualche amorevole legnata ma che per gli Ucraini ricorda i tempi della dominazione sovietica.
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