Bufala

No, non è vero che Miyazaki ha diffidato l’autore di una app per disegnare in stile Ghibli con AI

Stravaganze della teoria dell'”Internet morta”: l’autore di una app per disegnare in stile Ghibli con AI dichiara di essere stato contattato da Miyazaki e di essere pronto a fare “battaglia legale per l’espressione”, e lo dichiara con una letterina probabile creazione dell’AI.

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No, non è vero che Miyazaki ha diffidato l’autore di una app per disegnare in stile Ghibli con AI

Ma andiamo con ordine.

No, non è vero che Miyazaki ha denunciato l’autore di una app per disegnare in stile Ghibli con AI

Su X, ex Twitter, un utente pubblicizza “Gib”, miracolosa app che trasforma le foto in “immagini dello studio Ghibli”, inteso come immagini nello stile di Ghibli. App diventata in brevissimo tempo virale a causa della capacità di restituire con poco sforzo immagini “tarocche ma convincenti”.

La falsa lettera legale

Ovviamente fan e creativi hanno evidenziato il dilemma etico: “Gib” di fatto è un frontend che usa le foto come “prompt”, interpellanze per ChatGPT. Carichi la foto sull’app, banalmente, l’app “gira” le foto ai prodotti di OpenAI perché disegnino una immaginetta “in stile Miyazaki” coerente con l’immagine che hai fornito, e puoi goderti il tuo falso Miyazaki.

Se lo facesse un essere umano apriremmo un dibattito sul plagio, parlando di AI ne apriamo uno ancora più accanito.

In tutto questo l’occasione fa l’uomo furbo e l’autore di “Gib” decide per un loop ricorsivo nel quale farsi pubblicità: produrre una falsa lettera legale proveniente dallo Studio Ghibli accusandoli di avergli chiesto di interrompere le vendite per dichiarare la sua una battaglia per la libertà.

Battaglia che non esiste.

Resoconto dell’analisi

Una analisi del testo dimostra infatti che anche esso è stato assai probabilmente creato dai mezzi di OpenAI, firmato da uno studio legale che non esiste con un numero di telefono col prefisso “555”, generico prefisso usato nei programmi televisivi americani per un numero “placeholder”.

Uno scaltro mezzo per sollevare quel vespaio chiamato “ragebait” che porta clic, viralità e pubblicità.

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