Ci segnalano i nostri contatti un post X che nega l’esplorazione spaziale dichiarando che le fasce di Van Allen friggono il cervello degli esseri umani. Anzi, per essere precisi nella citazione (erronea peraltro) “Le Fasce di Van Hallen friggerebbero i cervelli di chiunque osasse attraversarle. Per questo sulla Luna ci sono andati negli Studios.”
A parte il fatto che Van Hallen, anzi Van Halen è un chitarrista olandese parte dell’omonimo gruppo musicale, le fasce di Van Allen sono un rischio per l’equipaggiamento e non per gli astronauti, e un rischio che abbiamo imparato a contenere.
Un ulteriore problema è che tale post è stato pubblicato da una spunta blu, evidenziando il problema principale del sistema di Elon Musk in cui le spunte blu non garantiscono immunità dalle fake news ma solo l’astratta capacità di pagare un canone mensile per la diffusione dei propri contenuti, in risposta ad un post secondo cui “non abbiamo più la tecnologia” per andare nello spazio.
Quest’ultima fake l’abbiamo analizzata nel dettaglio qui: ora passiamo alla bufala sulle fasce di Van Allen.
“Sarebbe molto mal pianificata una missione con effetti gravi in termini di salute umana causati dalle fasce di Van Allen”, ci conferma Piers Jiggens, ingegnere nella sezione Space Environment and Effects dell’Agenzia spaziale europea (Esa) e membro del gruppo di lavoro Esa dedicato all’eliofisica presso lo European Space Research and Technology Centre (Estec) nei Paesi Bassi per il Notiziario Online dell’Istituto Nazionale di Astrofisica.
Le Fasce di Van Allen sono una struttura toroidale (pensatela come una grossa ciambella col buco all’interno della magnetosfera terrestre, in cui si accumulano particelle cariche (plasma) che in genere derivano dal vento solare.
Esiste un minimo rischio di danni alla salute, ma ovviamente nello spazio ci andiamo con navicelle schermate e non a piedi o in un semplice “involucro di lamiera”.
Esiste un fondato rischio che costoso equipaggiamento elettronico non schermato possa essere danneggiato: infatti abbiamo avuto di vedere come sin dalle prime missioni Apollo navicelle e moduli di esplorazione siano stati costruiti in parte con materiali innovativi, sviluppati per l’apposito scopo dell’esplorazione spaziale, in parte con tecnologie più datate ma comprovate come a prova di elettromagnetismo, ad esempio le core rope memory, memorie di massa ottenute non mediante circuiti “moderni” ma con fili metallici intessuti attraverso anelli di ferrite componendo le sequenze di 0 e 1 dei programmi necessari al funzionamento della strumentazione di bordo.
Ovviamente le schermature moderne assolvono all’incombente in modo egregio: già in passato gli astronauti delle missioni Apollo si riscontrò venivano esposti a dosi di radazioni inferiori a quelle del ricercatore medio, letteralmente pari ad una radiografia al torace per viaggio.
Ci sono inoltre traiettorie che consentono di evitare le particelle di Van Allen o attraversarle per breve tempo, ed è sempre possibile spegnere brevemente alcuni sensori particolarmente delicati, come è accaduto per il passaggio del Telescopio Hubble.
Le fasce di Van Allen, divise in una sezione interna ed una esterna (più una sorta di “raccordo transitorio”) erano state teorizzate da Kristian Birkeland in Norvegia nel 1895.
Solo con gli studi di James Van Allen, conseguenti le missioni spaziali Explorer 1 e 3, nel 1958 le fasce di Van Allen ricevettero il loro nome e una conferma scientifica.
Ovviamente la fantascienza con tutto questo ci andò a nozze: in Scanners Live in Vain (I controllori vivono invano) del 1950 lo scrittore Cordwainer Smith ipotizzò nel suo mondo fantastico una casta di piloti spaziali, I Controllori che per viaggiare nel cosmo devono necessariamente farsi mutilare il sistema nervoso per diventare incapaci di sentire “il dolore dello spazio” e che vengono improvvisamente resi obsoleti da moderne schermature ottenute dalle ostriche (la fantascienza, come abbiamo visto, tende ad anticipare soluzioni moderne ma non con precisione).
Altrettanto ovviamente non abbiamo avuto bisogno di ostriche, ma semplicemente di alluminio e altri materiali liberamente disponibili.
Altre teorie del complotto vintage furono create durante la Corsa allo spazio: ad esempio l’URSS diffuse la teoria per cui le fasce di Van Allen in realtà non esistevano prima dell’immediato dopoguerra ed erano state create dai test atomici Statunitensi.
Ovviamente resta un mistero come, in questa assurda teoria del complotto vintage secondaria gli effetti dell’atomica sulla Terra siano arrivati nello spazio.
Tutto questo ha contribuito a sollecitare la fantascienza (e purtroppo i complottisti) ancora per decenni: le origini stessa dei Fantastici Quattro, amati supereroi dei fumetti e del cinemaa, derivano da un fumetto del 1961 in cui il brillante scienziato Reed Richards, la sua fidanzata e poi moglie e compagna Susan Storm, il cognato Johnny Storm e l’astronauta Ben Grimm decidono di andare sulla Luna con una navicella sperimentale per vincere la “guerra allo spazio” ma per un errore nelle schermature acquisiscono enormi poteri diventando rispettivamente Mr. Fantastic, l’Uomo di Gomma (dal potere di allungare ogni parte del suo corpo a suo piacimento), la Ragazza Invisibile (poi Donna Invisibile, dal potere di diventare invisibile e, in seguito, di creare potentissimi campi di forza in grado di imprigionare ogni forma di materia o devastare un corpo umano dall’interno), la Torcia Umana (un essere in grado di sprigionare fiamme ardenti dal corpo senza ricevere danno e volare nei cieli sostenuto da esse) e La Cosa (un potente erculeo, un uomo fatto di roccia vivente quasi immortale dalla forza e resistenza superiore a quella degli esseri umani, ma amareggiato dal suo aspetto ora spaventoso e nerboruto).
Ci dispiace complottisti: nessun astronauta tornerà col cervello fritto o coi poteri dei Fantastici Quattro.
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