Bufala

No, non è vero che il padre di Sergio Mattarella è un uomo d’onore della mafia (e qualcuno è stato già querelato)

Ci segnalano i nostri contatti un video TikTok dove una voce maschile con un accento fortemente impostato e un tono stentoreo, per dare probabilmente forza alle sue idee, lancia accuse infondate ai familiari del Presidente della Repubblica

Nel punto che ci interessa la voce ripete che Bernardo Matarella sarebbe stato indicato “da varie fonti” come uomo d’onore, e che invita il tribunale a denunciarlo non per calunnia ma per vilipendio.

Invero il Presidente della Repubblica ha già ottenuto condanne e risarcimenti contro questa falsità e l’onere della prova non funziona così.

No, non è vero che il padre di Sergio Mattarella è un uomo d’onore della mafia (e qualcuno è stato già querelato)

Immaginate uno sconosciuto si piazzi sul tetto di una casa (come tutti sanno, Internet è considerato ai fini delle condanne “mezzo pubblico” come giornali e pubbliche affissioni) urlando con un megafono

“ll mio vicino di casa è un farabutto mafioso assassino!! Io sono pronto ad andare in tribunale, casomai mi denuncia, finché non lo fa io dico che è farabutto”

Le cose non funzioano così: è una distorsione tipica del pensiero moderno che giusto recentemente ci ha portato casi di persone picchiate e minacciate per fake news non dimostrate.

No, non è vero che il padre di Sergio Mattarella è un uomo d’onore della mafia (e qualcuno è stato già querelato)

Semplicemente, se hai qualcosa da dimostrare, prima lo dimostri e poi parli e non il contrario.

In questo caso, al processo per la strage di  Portella della Ginestra, fatto noto a chiunque abbia aperto un giornale negli ultimi decenni, uno dei responsabili della strage di Portella della Ginestra, tale Gaspare Pisciotta, quando la banda Giuliano sparò contro i manifestanti socialisti e comunisti riuniti a Piana degli Albanesi, accusò Bernardo Mattarella in un chiaro tentativo di depistare le indagini di esserne mandante.

Bernardo Mattarella, politico e ministro che fin dal 1946 non aveva fatto mistero di voler assistere alla completa e assoluta dissoluzione della mafia (“La lotta elettorale è stata dura e faticosa, ma ci ha dato anche il grande risultato del pieno fallimento della mafia… I separatisti, che ne dividevano con i liberali i favori, sono stati miseramente sconfitti“, scriverà a Luigi Sturzo)

Le asserzioni del Pisciotta furono dichiarate inattendibili dal PM, e dagli atti processuali emerse, su confessione della madre di Pisciotta e di altri componenti della banda, il chiaro intento di inquinamento delle indagini, dato confermato  davanti alla Commissione parlamentare antimafia, sia da questi ultimi nel marzo 1966 sia, nel giugno 1972, dai due membri della banda che avevano seguito Pisciotta in quella manovra.

Altre fonti “secondarie” rimestarono nel torbido: la biografia del mafioso italoamericano Joseph Bonanno contiene un incontro del tutto immaginario tra lo stesso e il Mattarella il 13 Settembre del 1957 a Roma: ma Bernardo Mattarella era a Trapani per l’inaugurazione di un monumento.

Nel 2008 infatti il Presidente Mattarella intentò causa Rti e Taodue, produttori della fiction “Il Capo dei Capi” perché, facendo riferimento alla citata (ed erronea) bibliografia avevano gettato ombre sulla figura di Bernardo Mattarella.

Vinse la causa, ottenendo un simbolico risarcimento civile di 7000 euro procapite per lui, il fratello Bernardo e la sorella Maria.

Peggio andò a Danilo Dolci, sociologo che aveva già accusato Mattarella sr di connivenze mafiose nel 1965, e fu conndannato con sentenza del Tribunale di Roma del 21 giugno 1967, la cui condanna fu successivamente confermata dalla Corte d’appello e dalla Corte di cassazione, con la seguente motiivazione «Mattarella ha espresso sempre in modo inequivoco la sua condanna del fenomeno mafioso…» e «…non è mai entrato in contatto con l’ambiente mafioso da lui invece apertamente e decisamente osteggiato nel corso di tutta la sua carriera politica»

La sentenza proseguì con una motivazione al vetriolo:

“Nulla di quanto contenuto nel dossier che ha costituito la base del massiccio attacco nei riguardi di Mattarella ha trovato quindi conforto e riscontro sul piano della prova, dimostrandosi le dichiarazioni raccolte dagli imputati – Dolci e il suo collaboratore l’attivista Franco Alasia – nient’altro che il frutto di irresponsabili pettegolezzi, di malevoli dicerie se non addirittura di autentiche falsità. Basse, infondate insinuazioni, quindi, calunniose interpretazioni di fatti ed avvenimenti, interessate strumentalizzazioni di testimonianze che lungi dal fare la storia di un ambiente e di un personaggio, come incautamente asserito dal Dolci nel corso della conferenza stampa, possono al più favorire la peggiore confusione delle idee, intralciare se non addirittura fuorviare il corso degli accertamenti, condurre a infondati giudizi nei confronti di uomini e di cose”

Solo l’indulto evitò al sociologo due anni di reclusione.

Raccomandiamo quindi a chi ha diffuso questo TikTok di ritenere la risposta che cerca ottenuta, scusarsi pubblicamente e cancellare.

I precedenti lo suggeriscono.

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