Nintendo ma non troppo: console che non avete mai visto
Tutti conoscono le console Nintendo. Così tanto che per migliaia di casalinghe ogni console che non sia “una playstation” deve essere sicuramente “un nintendo”, e così tanto da popolarizzare l’urlo “Spegni quel nintendo e vai a mangiare”. Davanti ad una Xbox, davanti ad una Nintendo Switch, davanti ad uno SteamDeck, davanti ad ogni cosa con un controller.
Vi stupirà però sapere che esistono console Nintendo che non esistono. O meglio, che non hanno mai varcato i confini del Giappone (tranne una, apparsa solo in Cina e mai in madre patria per motivi che vedremo), e se lo hanno fatto sono sparite come meteore nella pioggia.
Cominciamo da una delle prime, in un elenco di accessori e console che non ritiene di essere esaustivo e per comodità eviterà console rare e accessori desueti come il VirtualBoy e il Power Glove, sin troppo famoso e infame per la sua apparizione nel film “Il piccolo grande mago dei Videogames”.
Il Twin Famicom: Famicom più Famicom Disk System, ovvero un “NES a dischetti”
Nel 1986 Nintendo in Giappone realizzò qualcosa che era ben noto, anzi arcinoto a chiunque abbia mai posseduto un Commodore 64 in quegli anni: il gioco su cartuccia costa molta di più di quello su floppy.
Costa produrlo, ogni cartuccia deve avere il suo bravo PCB (“scheda madre”), la sua componentistica da assemblare, le sue brave custodie di plastica e gusci e integrati che non solo hanno i loro costi, ma non sempre risultano presenti sul mercato.
La soluzione? Già nel 1986 Nintendo decise di commercializzare una periferica per il Famicom, chiamato il Famicom Disk System che consentiva l’uso di floppy disk riscrivibili al posto delle cartucce.
E non solo fu diffusa una periferica a parte, ma una nuova console, il Twin Famicom prodotto su licenza da Sharp che aveva uno slot “dall’alto” per i floppy ed un lettore Mitsumi come quello del Disk System sul frontale. La soluzione unica, prodotta in diversi modelli, aveva il vantaggio di usare una sola fonte di energia: se il Famicom Disk System doveva essere alimentato a batterie o con un secondo alimentatore, il Twin Famicom era una console pronta all’uso. Bastava collegarla, usarla e, come vedremo, incrociare bene le dita.
Il sistema era un brillante antesignano del gioco per “digital delivery”, almeno per gli standard dell’epoca. Potevi comprare i tuoi floppy Mitsumi (diversi dai floppy usati dai PC compatibili dell’epoca, altro problema che pesava sia sui costi che sulle disponibilità e che fu tra i fattori per cui all’estero non prese piede) da appositi distributori nei vari negozi convenzionati per 2000 yen dell’epoca (al cambio e calcolando l’inflazione, circa 15 euro attuali al pezzo) oppure limitarsi a pagare il solo gioco, 500 yen (al cambio e calcolando l’inflazione, quasi quattro euro).
Capirete che, dal punto di vista meramente teorico portarsi a casa un gioco completamente nuovo per 19 euro oppure “sacrificare” un gioco che avevi già per averne uno nuovo per quattro euro era comodissimo.
E non stiamo parlando dell’equivalente attuale del giochino indie scaricato dallo shop online della Switch per quattro-cinque euro. C’erano nel catalogo del FDS e del Twin Famicom titoli che oggi definiremmo comodamente “da tripla A”, come il primo Legend of Zelda.
Immaginate un ipotetico scenario in cui potete scegliere tra “Legend of Zelda: Tears of the Kingdom” a 70 euro (i costi in fondo non erano dissimili) oppure averlo in “digitale” a 20, se non direttamente a quattro euro. Sarebbe comodo vero?
Perché il Twin Famicom non prese piede
Ma i problemi erano molteplici: in primo luogo se una cartuccia aveva il solo problema dello sporco e l’ossido sui contatti, da cui la leggenda del “soffio magico per renderle leggibili”, i floppy Mitsumi avevano tutti i problemi dei floppy dell’epoca più altri. Le testine del lettore floppy potevano sporcarsi, le cinghie allentarsi, e per risparmiare Nintendo non mise protezioni come la “linguetta metallica” sui floppy che conosciamo, rendendo i loro dischetti calamite per sporco, luridume e ditate.
Inoltre, sempre i dischetti furono il punto debole del sistema: come abbiamo visto Nintendo otteneva i veri ricavi dalla vendita del mezzo fisico, una versione proprietaria del QuickDisk usato dai computer MSX, di dimensioni anomale e con la scritta “NINTENDO” in tutto maiuscolo e incisa sul fondo in modo che dei sensori a incastro la percepissero dando “il via libera al caricamento”, più una serie di protezioni nel lettore stesso a livello hardware e nel floppy a livello software, tra cui files di protezione particolari che potevano essere duplicati solo nei chioschi ufficiali.
Potevi “modificare” il lettore per coprire la parte relativa al software e, prima che esistessero le stampanti 3D, tagliare due pezzetti dal fondo di un normale QuickDisk per incollarvi un pezzo in plastica stampato fornito dai pirati informatici che vendevano giochi tarocchi e avere il tuo disco perfettamente utilizzabile.
Ovviamente nacquero anche kit per usare due Famicom Disk System, uno come “chiosco” ed uno per ricevere la copia, del tutto gratis. Anche per tutte queste ragioni, FDS e Twin Famicom non arrivarono mai in Occidente: a quel punto semplicemente era diventato nuovamente economico produrre cartucce, anche con memoria tampone per i salvataggi e molti produttori preferirono tornare al sistema del gioco su cartuccia anziché imbarcarsi nell’avventura commerciale del sistema a dischi.
Eppure FDS e Twin Famicom godettero di una certa fama in patria.
Una storia durata decenni
Twin Famicom e FDS sono esistiti dal 1986. Nonostante molti negozi considerassero i chioschi una spesa inutile, “Disk-Kun” (il “Signor Dischetto”, la mascotte del prodotto) divenne presto una figura popolare tra i ragazzini, e i chioschi trovarono altri modi per attirarli.
Portando ad esempio i propri floppy disk con un gioco con salvati dei punteggi gli stessi venivano trasmessi via fax ad una classifica nazionale, consentendo una forma di “gioco online” nel quale il miglior giocatore riceveva dei premi, tra cui giochi portatili (un Game&Watch) a forma di Disk-Kun e particolari giochini su dischetto.
Nintendo produsse in tutto 200 giochi su dischetto, tra cui versioni rimasterizzate dei successi su cartuccia più popolari, continuando a produrne di nuovi fino al 1992 (un gioco di “Carta, Forbice e Sasso” con Disk-Kun), ma continuò a mantenere i chioschi attivi fino al 2003 e offrire un servizio di riparazione e manutenzione delle console e dei chioschi fino al 2007.
Puoi ancora oggi cercare online un TwinFamicom. Usarlo sia con un Everdrive che con i floppy dell’epoca, dato che l’EverDrive supporta comunque l’audio perfezionato che il “collegamento” tra floppy e console inseriva, e considerarlo un pezzo da collezione, sia pur ricordandosi che essendo i floppy sovrascrivibili per definizione potreste scoprire che il contenuto dei floppy che avete comprato non corrisponde a quanto riportato sull’etichetta (ammesso che sia ancora leggibile…).
Il che ci porta al secondo tentativo, forse meglio riuscito
Il Satellaview per Super Famicom
Già in piena epoca del Twin Famicom Nintendo si era baloccata con l’idea di mandare il Famicom online senza dover passare dai chioschi. Era nato così il Famicom Modem, strumento per usare il Famicom connesso ad Internet per ottenere trucchi sui videogames, notizie dai negozi di videogiochi, scommesse sui cavalli e informazioni di borsa.
L’esperimento non ebbe un enorme successo, anche perché come abbiamo visto negli anni ’80 i servizi online erano poco diffusi ed avevano un certo costo che sicuramente il ragazzino medio non poteva permettersi.
Nonostante questo è stato possibile collegarsi e scommettere sui cavalli fino al 2001, anche se riteniamo improbabile un ragazzino l’avrebbe fatto (ed è uno dei motivi per cui il Famicom Modem non arrivò mai in Occidente: per il timore di incitare i ragazzini al gioco d’azzardo)
Più successo ebbe il Satellaview, periferica per il Super Famicom (Super Nintendo) che consentiva di collegare la stessa console all’emittente radio via satellite St.Giga.
Una collaborazione attiva con Nintendo fece in modo che tra il 1995 e il 2000 fosse possibile per i detentori del Satellaview giocare a versioni speciali e perfezionate dei principali titoli della casa accendendo il decoder ad orari particolari.
Il Satellaview arrivava in bundle con un minigioco di presentazione, “La storia della città senza nome”, che consentiva al piccolo giocatore di esplorare una città spopolata che si riempiva di minigiochi, ospitati dalle mascotte “Satellite e Parabola”, man mano che la console veniva connessa alla radio.
Come per molte applicazioni online moderne era possibile scaricare giochi e riviste online da leggere sul monitor, nonché partecipare a concorsi e quiz, spesso basati proprio sull’invio di punteggi e risultati ottenuti nei giochi per ottenere piccoli premi, come schede telefoniche, gadget e attestati firmati.
Giochi come Legend of Zelda, F-Zero e Dragon Quest ebbero versioni specifiche per l’online, che a ragione della peculiare modalità di gioco sono ad oggi scarsamente emulabili e quindi impossibili da giocare come si faceva all’epoca.
In questo caso, come per il caso dell’Occidentale NABU non furono problemi tecnici a rendere il Satellaview poco popolare oltre il Giappone, ma semplicemente ragioni tecniche (in Occidente ovviamente non c’era St. Giga), culturali e il fatto che poi sarebbe arrivata Internet a sparigliare le cose.
Nintendo 64DD, o come Nintendo non imparò dai suoi errori
Abbiamo visto che se il Satellaview ebbe un certo gradimento, e in un certo senso fu l’antesignano di servizi online come Mii Plaza, il Mii Channel e gli attuali servizi online delle console Nintendo, il Twin Famicom non riuscì a sbarcare fuori dai confini patrii.
Eppure Nintendo volle riprovarci, e male.
Era il 1999, la Playstation stava rapidamente portando SONY in vetta al mondo delle console strappando via pezzi insanguinati di mercato a SEGA e Nintendo e Nintendo aveva fretta di rispondere.
Erano anche gli anni in cui lo Zip Drive e altri supporti magnetici di grandezza superiore a quella del floppy “tradizionale” potevano ancora convivere coi dischi ottici.
Nintendo sfoderò quindi un add-on per il Nintendo 64 con un lettore di dischi magnetici da 64Mb. La presentazione avvenne al “Nintendo Space World” (all’epoca “Shoshinkai”), antenato offline dell’attuale “Nintendo Direct”, ovvero un’occasione annuale per presentare al pubblico le proprie novità.
Con un ritardo eguagliato solo dal lancio di Pokémon Sleep, annunciato nel 2019 assieme alla periferica relativa Pokemon GO Plus + e materializzatosi solo quest’anno, il 64DD fu annunciato nel 1995 e lanciato nel 1999.
Se in fondo per un giochino per cellulare basato sul franchise di un gioco esistente il cui unico scopo è misurare la qualità del tuo sonno quattro anni non sono niente, per una console quattro anni sono tutto.
Ormai la convivenza citata tra dischi magnetici ed ottici stava arrivando al termine, la sesta generazione di console si avvicinava e la stessa Nintendo rinunciò a vendere direttamente in negozio il 64DD vendendolo tramite gli stessi canali online, RandNET, con cui avrebbe offerto un servizio di collegamento tra giocatori.
Meno di nove giochi apparvero per il 64DD, tra cui “Ura Zelda” (“Un altro Zelda”) e “Zelda Gaiden” (“Una storia da Zelda”), diventati poi la “Master Quest” di Ocarina of Time e Majora’s Mask.
Il che ci riporta alla parte più strana di questo lungo articolo, nonché la parte più strana di tutta Internet
La Nintendo Playstation ed altre iattture
I più arguti avranno notato le somiglianze tra il protocollo dei joypad Playstation di prima generazione e quelli del SNES ed altre superficiali somiglianze tra le console della grande N e quelle della Grande S.
Il motivo è semplice: l’idea della Playstation, nonché il suo nome stesso, nasce quando Nintendo propose a SONY di sviluppare un accessorio per il Super Nintendo che lo rendesse compatibile con dischi ottici in grado di competere con sistemi come il “Mega CD” della SEGA (espansione per il Mega Drive o Genesis che dir si voglia).
Fu solo una storia di sfiducia e avidità tipica del mercato a creare un presente in cui la Playstation 5 e la Switch sono due console radicalmente diverse come progetto, sensibilità, target e formato.
Nintendo avrebbe voluto evitare che SONY prendesse il controllo del formato ottico della nuova console, costringendola a pagare licenze su licenze. Quindi si rivolse a Philips, mossa che ci diede peraltro la trilogia di Zelda più brutta dell’universo, una serie di improponibili e risibili giochi basati sulle IP Nintendo fatti male e sviluppati anche peggio.
Detto questo, SONY fece in tempo a produrre 200 “SONY Play Station” dopo la rottura degli accordi con Nintendo, come ultimo tentativo di avere una console compatibile col Super Nintendo ma anche coi giochi ottici sviluppati assieme a Nintendo stessa prima di decidere di lanciare una propria quinta generazione, la PlayStation così come la conosciamo.
Di questi duecento prototipi ne sopravvive solo uno, parzialmente funzionante e riparato apposta per scoprirne i segreti, dal quale scopriamo una console dalla forma simile al SNES, con lettore ottico come la PlayStation e supporto per i pad del Super Nintendo anziché per gli iconici pad SONY, sulla quale gira un singolo gioco creato come dimostrativo e nulla altro.
Se tutte le altre console e “add-on” citati potete in qualche modo vederli, forse possederli, l’unico modo per vedere una Nintendo SONY PlayStation dal vivo è essere simpatici al miliardario proprietario Terry Diebold.
Ma a parte i falliti accordi con Philips, la saga di Zelda per CD-i, Nintendo tornerà nel luogo del delitto cercando di tornare nel mercato dell’audiovideo evoluto.
Il Panasonic Q, ovvero il GameCube da Hi-Fi
Una partnership con Panasonic riportò nel 2001 un concetto che Nintendo aveva già provato in Occidente negli anni ’80, ma questa volta solo in Giappone.
Se c’era una cosa che mancava al GameCube era la multimedialità che persino il citato CD-i aveva. Compravi un CD-i (e l’apposita scheda MPG) e potevi giocare e ascoltare musica e vedere VideoCD.
Compravi un GameCube e potevi solo giocare ai giochi per GameCube, fine.
Col Panasonic Q avevi un oggetto che, come il NES rispetto al FamiCom, poteva essere esposto tra lettori multimediali e Hi-Fi, con un telecomando ed un carrellino per i DVD e uscite audiovideo con supporto per il Dolby 5.1, ma solo per i film, ed una porta proprietaria con uscita a componenti solo per i videogames (di fatto prendendoti diversi connettori nel sistema Hi-Fi).
L’idea era molto brillante va detto: compri un oggetto, lo colleghi alla TV migliore della casa e all’impianto Hi-Fi di lusso e con una singola spesa hai ottenuto un lettore multimediale scintillante e cromato, una console se non all’avanguardia nella media e il meglio della qualità Panasonic e Nintendo.
Problema: non eravamo più nel 1980.
L’utente attuale, se ha i soldi per una console da gioco, ha soldi addirittura per due console, prendi la pletora di utenti che hanno la PS5 e la Switch assieme, e se non li ha rinuncia ad entrambe.
Nel 2000 era più economicamente conveniente, e più semplice per un non audiofilo, comprare un normalissimo GameCube, magari in offerta con qualche gioco e un fetentissimo lettore DVD da cestone delle offerte e usare quello.
Risultato: il Panasonic Q sparì dal mercato nel 2003, mentre il GameCube restò in giro fino all’arrivo della Wii, console che gli è retrocompatibile.
Oggi possiamo apprezzare un Panasonic Q come un oggetto di collezionismo, ieri era l’equivalente di un iPhone oro tempestato di diamanti o altri oggetti bellissimi a vedersi, da cui non capivi l’appeal rispetto alle versioni normali.
Ma quando sparì il Panasonic Q tornò il Nintendo 64. Di nuovo. E pure il Disk System, quasi.
Arriva il Nintendo iQue, la console mini che tutti vogliono ma nessuno può avere
iQue è una console venduta solo in Cina, dal 2003 al 2016, col nome locale di Shén Yóu Ji , ovvero un gioco di parole tra “Console divina”, “Console dalle grandi prestazioni” e “Console per viaggiare nel mondo della mente/fantasia”.
Nome altisonante per quella che di fatto è la madre delle “console mini” di Nintendo, repliche su singolo chip (nel caso delle console mini moderne, emulative) con la possibilità di giocare giochi del passato.
Abbiamo già visto come per buona parte degli anni ’80 e ’90 la Cina fosse il luogo dove nascevano tutte le console pirata più assurde e con Hong Kong come ponte commerciale abbiamo assistito alla nascita del Dendy, il “Nintendo Russo” e altri cloni per il mercato interno ed esterno.
Arrivati negli anni ’90, semplicemente la (scarna) tecnologia videoludica in proprio veniva annientata dalla concorrenza dei cloni di tecnologia Occidentale che gli aventi diritto non riuscivano a fermare. Nel 2000 la Cina semplicemente decise di bandire i videogiochi accusandoli di corrompere la gioventù comunista, ban che durò fino al 2015 con qualche piccola concessione e tutt’ora si manifesta in severi limiti al numero di ore di gioco concesse ai gamer cinesi e altre restrizioni.
Nel corso dei 15 anni solo alcune console vennero consentite, tra cui l’iQue, nato da una partnership tra Nintendo e Wei Yen, imprenditore del settore videoludico.
Si trattava di un Nintendo 64 ricostruito in una versione su chip singolo, una delle console “costruite dentro un joypad” con due cavi per collegarla alla TV ed alla corrente elettrica.
Grazie ad appositi chioschi e una memory card da 64MB potevi comprare e scaricare alcuni giochi, una piccola selezione comprendente il primo Animal Crossing, Ocarina of Time, il primo Smash Bros. e alcuni giochi della saga di Mario.
Con solo 14 giochi rilasciati, l’acquisto dipendente dai chioschi online o da un apposito portale online chiuso nel 2018 (la console uscià dal mercato nel 2015) l’utente medio preferì restare nel mondo del gioco su PC o della pirateri. Tutt’ora la necessità di connettori particolari per collegare altri joypad e di hackerare la console per aggiungere altri giochi rispetto a quelli comprati prima della chiusura degli shop online rende l’iQue un bellissimo “vorrei ma non posso”, la “console mini” che tutti i fan delle “Console Mini” vorrebbero ma che, al contrario delle console mini, gli è impedito usare dalla triste realtà dei fatti.
E questo conclude una carrellata di console Nintendo che l’Occidente non ha mai potuto davvero usare: forse con buona ragione.
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