È morto Ray Liotta, e come sovente accade ai bravi attori, la sua maledizione è essere ricordato per un ruolo iconico in una vita di grandi ruoli iconici.
Ray Liotta, orfano, università di recitazione pagata con un lavoro al cimitero, ha cominciato col mondo dei serial e delle soap operas, senza negarsi un passaggio nel Musical con “Tutti insieme appassionatamente”.
La sua carriera è esplosa negli anni ’80 con “Qualcosa di travolgente”, nel ruolo del galeotto bello e dannato dai suoi demoni interiori. Avrebbe potuto cavalcare quella fama, ma ha preferito ricominciare da zero, ancora ed ancora, sempre in nuovi ruoli per scacciare il demone degli attori. Il “Typecasting”, l’identificazione in un ruolo fisso che porta a recitare in personaggi sempre simili.
Per questo ha portato al successo “L’Uomo dei Sogni”, fiaba moderna in cui ha interpretato il ruolo del giocatore dei Red Sox Joe “Shoeless” Jackson, tornato sottoforma di tangibile spirito per aiutare un coltivatore e riscattare la sua passata squalifica.
E, negli anni novanta, quel ruolo in “Quei Bravi Ragazzi” che tutti richiamano alla mente e identificano come il momento della fama Hollywoodiana.
Tanti, moltissimi i suoi film prima e dopo. Un autore che è riuscito a evitare quell’incubo da cui voleva sottrarsi: non macchietta, non “caratterista”, ma attore completo a tutto tondo.
E infine è morto Ray Liotta, pacificamente, a 67 anni, nel sonno, nella Repubblica Domenicana dove si era recato per girare un film.
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