È morto Lando Buzzanca. Ci asterremo dallo sparare nel titolo la sua qualifica di “merlo maschio”: Lando Buzzanca è stato questo, ed anche molto di più.
Classe 1935, figlio d’arte, attore di sangue quindi e di cuore, decise sin da giovanissimo che la recitazione era la sua vita. Costi quel che costi, e quello che gli è costato.
Allievo dell’Accademia Sharoff, Lando Buzzanca cominciò la recitazione giovanissimo come comparsa in Ben Hur. Figlio d’arte ma non “di papà”, Lando Buzzanca fece carriera come tutti, come si conviene. Una gavetta amara, brutale, fatta anche di lavoretti saltuari per permettersi di inseguire il sogno del cinema.
”Ho interpretato 110 film, ma fin dall’inizio ho sempre scelto, ho sempre voluto fare l’attore. Anche quando non ero nessuno ed ero al verde. Avevo 500 mila lire in tasca che mi aveva dato di nascosto mia madre, ma sono finiti in fretta, ho dormito per strada, ho mangiato alla Caritas, volevo fare il cinema, facevo piccole comparsate, ma sapevo che non bastava”.
Racconterò alla stampa di quel periodo pieno di sogni e povero di ricchezza.
La fama e la ricchezza arrivano con la creazione di un ruolo-carattere con “Divorzio all’Italiana” del 1961 che l’avrebbe inseguito fino all’esplosione de “Il Merlo Maschio” nel 1971.
La macchietta tipicamente Italiana del “Piacione”, l’Italiano avvenente nel corpo ma carente di intelletto e difettoso nella morale, che sopperisce a tali mancanze con una libido ed una gelosia fuori scala, il seduttore un po’ gallo da battaglia, un po’ gelosone irrefrenabile pronto a scagliarsi con qualsiasi altro “maschio” che insinui il suo primato.
Un ruolo buffo, spaccato dei tempi che però sviluppò con grande maestria e successo, lontano dal “pecoreccio” dell’epoca e vivendo quel ruolo con disinibita ironia e grande leggerezza.
E non solo questo.
Partecipò anche alla commedia comica col “Principe della Risata” Totò, e negli anni ’60 col declinare della commedia sexy si spinse nel genere della parodia su cassetta, con le saghe di James Tont e le parodie dei successi di Sergio Leone.
Non tornò al Cinema, passando dalla radio al piccolo schermo, con personaggi straordinariamente dolci e dolenti, come il Commissario Vivaldi di Mio Figlio, anziano poliziotto ormai in pensione che nello scoprire l’omosessualità di suo figlio cerca di riallacciare con lui un dialogo.
Ma quel rapporto di serenità familiare inseguito sullo schermo gli sarà purtroppo negato nella vita.
Vedovo dell’amata Lucia Peralta, si risposò con una donna più giovane di lui, ma non riuscì mai a trovare una serenità minata da questioni familiari e legate all’amministrazione di sostegno e sanitarie.
Ad una vita di esuberanza seguì un ultimo periodo di malattia, un anno trascorso in una Rsa, seguito da un ricovero in ospedale e poi in un centro di riabilitazione. Acciacchi, cadute, malattie, e uno strascico di polemiche finali che chiudono una vita brillantissima, calando su di essa come un sipario.
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