Si è spento a 68 anni per un ematoma subdurale l’autore di manga Akira Toriyama, creatore tra l’altro della serie Dr. Slump (1980, animata l’anno dopo) e del successo planetario di Dragonball (1984), ambientati nel medesimo bizzarro universo narrativo amato ormai da generazioni di ragazzini e non più tali.
Un creatore di rango che segue per la via delle stelle Miura (Berserk) e Matsumoto (Capitan Harlock, Galaxy Express) dopo una carriera lunghissima e illustre che ci ha donato non solo il mondo di Dragonball, ma infiniti mondi.
Toriyama nasce a Nagoya nel 1955, e scopre, come Osamu Tezuka prima di lui, l’amore per il disegno grazie alla Disney, vincendo un concorso per scolaretti delle elementari con un disegno ispirato alla Carica dei 101.
L’amore per il disegno non lo lascerà mai: troverà impiego da illustratore per poi passare alla passione del manga.
Inizialmente rimasto povero e senza sussistenza per essersi dimesso dal suo lavoro di illustratore pubblicitario e progettista di poster, propose diversi fumetti, e riuscì finalmente a vincere un cospicuo premio in danaro per l’autoconclusivo Wonder Island e seguito, due storielle brevi nel suo stile stralunato e bizzarro.
Realizzerà altri due fumetti autoconclusivi per poi cominciare il magnum opus della sua vita, l’universo narrativo di Dragonball, cominciando dal Dr. Slump, le avventure di un bizzarro scienziato innamorato di una bella maestrina che, nel tentativo di vincere la solitudine, crea un’androide iperforte con le fattezze di una bambina miope dal cuore d’oro ma dalla mente strampalata che battezzerà Arale e descriverà agli abitanti del paese come la sua sorellina venuta a vivere con lui al “Villaggio Pinguino” dalla casa di famiglia.
La consacrazione planetaria arriverà con Dragonball, opera inizialmente nata come parodia giocosa del Viaggio in Occidente, noto romanzo di formazione orientale.
Dragonball riprende i temi del Dottor Slump in una salsa sci-fi mitologica, e con esso avrà crossover che ne mostrano la natura condivisa.
Laddove nella storia originale (che anche Matsumoto in Starzinger aveva riprodotto) un venerabile monaco incontrava Sun Wukong il “Re delle Scimmie” e altri personaggi mitologici per cercare dei mitici testi letterari e portare il Buddhismo in tutto l’Oriente, in Dragonball la brillante giovanissima scienziata Bulma Briefs (gioco di parole nippo-inglese che traduce il suo nome come “Pantaloncino Braghe”) recluta uno stralunato ragazzino dalla coda di scimmia, un maialetto trasformista pervertito e un brigante dal cuore d’oro per aiutarla a cercare le “Sfere del Drago” del mito, sette sfere che possono esaudire i desideri di chi le raccoglie, strappandole al malvagio Imperatore Pilaf, il guerrafondaio Esercito del Fiocco Rosso ed altri nemici.
Presto la storia passa di ottica e si allontana da Bulma, che resterà nel cast fisso, per diventare la storia di Son Goku, che in un’evoluzione sci-fi della storia viene rivelato essere nei fatti l’equivalente orientale del “nostro” Superman, un generoso alieno inviato da un mondo lontano di bellicosi cultori delle arti marziali e della forza, a seconda della versione della storia inviato sulla Terra perché troppo debole rispetto alla media o (nell’ultima versione “santificata” dallo stesso Toriyama nei fumetti) dal suo stesso padre prima della distruzione del suo mondo nella speranza affine a quella di Jor-El col figlio Kal-El che un mondo pacifico come la Terra (rispetto agli standard del loro mondo di origine) gli avrebbe donato la speranza di una vita lunga e serena proteggendo la pace dei suoi cari grazie ad un corpo “predisposto” ai superpoteri.
La saga di Dragonball, salvo una lunga pausa per tutti gli anni ’90 e il primo decennio del 2000, non si è mai davvero interrotta, e dopo Dragonball Z, GT (anime senza l’intervento di Toriyama), Super ed una serie di spin-off in vari formati e film cinematografici è in arrivo “Daima”, il prossimo capitolo, diventando una saga generazionale in cui il piccolo Goku del primo capitolo è diventato effettivamente il guerriero della pace che il padre sognava, padre e nonno a sua volta, arzillo ed energetico (di età imprecisata, nonno di una ragazzina quasi decenne, è ancora gagliardo e vivace come nel fiore degli anni), difensore della Galassia e dell’Universo a colpi di arti marziali, tecniche segrete e superpoteri al fianco dei suoi amici, della sua famiglia e dell’eterno rivale Vegeta, un tempo nemico e principe della bellicosa stirpe dei Saiyan da cui deriva lui stesso ed ora marito di Bulma, terrestre di adozione, padre di due figli intenzionato a superare il suo rivale Kakarot (nome originale di Goku, dal significato di “Carota”) e allevare il figlio maggiore Trunks (“Calzoni corti”) in modo da farne il degno erede sia della ricchezza materna che della forza paterna (limitandosi però a viziare la figlia minore Bulla, da “Bra”, reggiseno, che invece lui avrebbbe volentieri chiamato Eschalotte, “Cipollina di campo”, a suo dire nome tipico del suo pianeta perduto).
È difficile ora non trovare qualcuno che non conosca Dragonball in almeno una delle sue incarnazioni.
Ma va ricordato che Toriyama è anche andato oltre.
Se guardando Arale vi viene un senso di dejavu, è perché uno dei personaggi del videogioco per SuperNintendo Chrono Trigger (1995), deriva espressamente dal character design di Akira Toriyama, e infatti Lucca e Merle, rispettivamente la brillante scienziata e la soave principessa del cast fisso sono una Arale adulta e una Bulma bionda.
La saga di Dragon Quest, serie di giochi di ruolo Giapponese partita dal 1985, ha i disegni di Toriyama, come il fantasy diventato serie animati Blue Dragon del 2006.
Ogni necrologio di Toriyama ricorda l’estrema facilità con cui la sua mente creava, spesso su semplice richiesta, storie, mondi e personaggi.
Persino Oda, il celebrato autore di One Piece, nel piangere la perdita di un caro amico affida al suo necrologio la speranza che esista un “mondo gioioso come quello che ha creato” perché Toriyama possa riposarvi in pace.
Toriyama era infatti una persona schiva e timida, forse anche troppo in mondo come quello dell fumetto giapponese dove morire di superlavoro come è accaduto a Miura è purtroppo un orizzonte prossimo per molti.
Non amava comparire in pubblico, preferiva difendere la privacy dei suoi cari: si faceva intervistare per iscritto, illustrando ogni intervista con se stesso nei panni di un goffo robottino dall’aria gentile come fu la sua.
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