Minacce a Di Maio: la DIGOS individua tre profili, nonché post su canali filoCremlino
Essere hater non paga: ci sono tre profili individuati dalla DIGOS per minacce a Di Maio. Tre perquisizioni a a Milano, Vicenza e Udine per identificare i tre profili ed associarli a tre presunti autori, tutt’ora indagati.
Tre presunti autori per cui la DIGOS ha individuato elementi indiziari tali da farli ritenere autori della pubblicazioni di messaggi.
Il tutto secondo un copione che abbiamo imparato a riconoscere: un utente attivo sui social, profili che regalano la fallace illusione dell’anonimato e consentono ogni sfogo, tranne quando poi arrivano gli esiti delle indagini.
Tutto nasce, riporta il Sole 24 Ore, dal corteggio di post nati dalle pubblicazioni Twitter del ministro degli esteri Di Maio sul conflitto in atto. Una ridda di minacce e insulti terrificanti, del calibro di
“Muori male, e magari per mano del popolo.”, “Sì dai, armateci e decideremo poi a chi vogliamo sparare”, “Non ci sono parole per descrivere, vai solo buttato nel rusco”.
Insulti finiti sui soliti canali Telegram e gruppi VKontakte, il famoso “Facebook Russo”, nei quali la polizia ha riscontrato un canale di propaganda pro-Cremlino dove un utente invocava “un cecchino…che ci ammazzi i 4 distruttori dell’Italia, non ce lo possiamo mandare?”. Con ovvio riferimento a rappresentanti del Governo Italiano.
Minacce a Di Maio, ma anche come si è visto a Draghi ed altri membri del Governo Italiano che non potevano passare inosservate.
Le indagini sui tre presunti autori hanno portato a sequestri e imputazioni. Si registra il caso di una casalinga di mezza età, non legata a particolari orientamenti politici, che ha subito il sequestro del cellulare e il blocco del suo account Instagram per le indagini di rito, anche allo scopo di ricostruire la “rete”.
Ma anche un operaio e un impiegato, dai primi rilievi rilasciati alla stampa accomunati dal consumo di teorie complottistiche.
Tutti e tre al momento risultano indagati per minaccia a corpo politico.
Ricordate sempre che libertà di parola non è libertà di minaccia, e questa è solo l’ultima di storie simili che comportano il medesimo esito.
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