Detto da noi, il team di Bufale, suona strano: Meta cessa il programma di Fact Checking, e forse non è un male. Il male è che Meta intenda passare al modello delle Community Notes su X, altro modello che esattamente al pari del programma di Fact Checking di Meta ha mostrato i suoi limiti.
La mossa è stata salutata come una concessione a Trump, ed effettivamente la società di Menlo Park ha esplicitamente menzionato Trump nel discorso di addio al programma di Fact Checking.
E l’Europa, dichiarando che “Lavoreremo col presidente Trump per respingere i governi di tutto il mondo che se la prendono con le società americane e premono per una censura maggiore”, accusando tra l’altro l’Europa di avere “un sempre crescente numero di leggi che istituzionalizzano la censura e rendono più difficile realizzare qualsiasi innovazione lì”, lamentando partnership di parte che hanno distrutto la fiducia nel Fact Checking.
E per quanto sappiamo che la svolta al momento riguarda solo gli USA, e il programma di Fact Checking in Europa continuerà a funzionare, e per quanto riteniamo che anche il modelle delle Community Notes sia un fallimento non possiamo che concordare sul principio di massima.
Il fenomeno delle fake news non è un fenomeno logico, e non può essere affrontato con le norme della logica.
Ci sono stati negli ultimi anni diversi studi sull’argomento, come un recente studio dell’Università di Princeton titolatoMisinformation exploits outrage to spread online e basato proprio su dataset presi da post infiammatori delle ultime campagne elettorali americane (quelle relative al primo mandato Trump e al mandato Biden quindi) e delle “fabbriche del Troll” di oltre Cortina di Ferro.
Nonché uno studio sulla disinformazione formato dal ricercatore italiano Walter Quattrociocchi.
I meccanismi alla base delle fake news sono più antichi della Rete, risalgono a strutture base del cervello umano: la rabbia e la polarizzazione.
La diffusione delle fake news non si basa sulla logica e non puoi correggerla con la logica: non esiste community note in grado di spiegare all’utente convinto che “Salvini vuole levarti la patente se bevi una Fanta perché è un falso positivo ai test antidroga“, e non esiste alcun fact checker organizzato che possa convincere l’utente a non farlo.
Un rappresentativo campione nei diversi studi vive in una condizione di bispensiero orwelliano: sa riconoscere un contenuto fake da uno reale, ma sa anche chhe condividerà per appartenenza al branco, per fedeltà ad un ideale, sapendo e non sapendo allo stesso tempo cosa è reale e cosa non lo è.
La posizione in cui Meta ha messo il Fact Checking non è stata una posizione “umana ancorché illogica”, dove il Fact Checker diventa un utente come gli altri, ma in grado di offrire strumenti per riflettere.
È stata una posizione dove il Fact Checker “approvato” è stato invece posto in una posizione di superiorità perfettamente logica ma incapace di sfidare l’illogico.
In un perverso bias di conferma, abbiamo perso il conto di tutte le volte in cui una notizia “Oscurata perché sottoposta a Fact Checking di enti indipendenti” è stata commentata con risposte come
“Se Facebook ha chiamato i debunker a censurare significa che è vera, condivido ancora di più perché sono indignato!!!”
E come lo stesso Quattrociocchi ha fatto notare, nello stesso momento in cui è Meta a decidere chi è ente terzo e no, non possiamo più parlare di un ente terzo.
L’Ente Terzo è colui che può fare gli interessi dei cittadini nel tenere sotto controllo l’attività informativa coinvolgendo tutte la parti in causa dagli utenti, alle istituzioni alle aziende erogatrici dei servizi.
Riteniamo quindi come corollario che appuntare una scintillante medaglia di sceriffo elargita da una sola parte, l’azienda erogatrice, significa danneggiare quello spirito di fiducia.
Il programma di Fact Checking prosegue in Europa, ma noi continueremo a non farne parte.
L’unica scelta è restare davvero terzi, offrendo strumenti agli utenti e bacchettando le aziende erogatrici quando errano, e abbiamo fatto anche questo.
Non è logico e non comporterà la fine della guerra alle Fake News, ma se l’alternativa è delegare ad altri la decisione sul vero e sul falso, noi preferiamo essere quelli che danno una canna da pesca anziché quelli che distribuiscono cibo già pronto.
L’irrazionale si sfida non imponendo la razionalità, ma imparando a convivere con esso mostrando che la razionalità, talora, presenta vantaggi.
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