Maestra perse lavoro a causa del Revenge Porn, condannate direttrice, collega e madre alunna
Sul Revenge Porn spesso ne abbiamo parlato, anche su questi schermi.
Una pratica odiosa, una pratica che non ci piace. La forma più brutale di vendetta di un uomo che accampa gli ultimi diritti su una relazione che è diventata possesso. La donna interrompe la relazione? La vendetta dell’uomo diventa raccogliere quei momenti intimità che ormai cellulari e fotocamere rendono ubiqui, le foto più intime e private e gettarle in Rete.
La donna acconsente ad una relazione? Quelle foto diventano trofeo e feticcio da esibire come prova di virilità, succedaneo dei più brutali racconti da spogliatoio
Spesso in chat private per fini di onanismo, l’ultimo sfregio alla memoria. Spesso per cavalcare una mentalità pruriginosa e distruggere la vita di una donna.
Cosa che è successa in questo caso.
Maestra perse lavoro a causa del Revenge Porn, condannati preside, collega e madre alunna
Il caso è precedente all’introduzione del Revenge Porn stesso.
Il che nel sistema legale Italiano significa che la sentenza non punisce il Revenge Porn in quanto tale, ma lo “spacchetta” nelle sue componenti. Cosa non meno importante, anche se enormi sono stati i passi avanti dall’introduzione dell’Art. 612 ter c.p.
Siamo quindi nel 2018.
Una giovane invia delle immagini al compagno.
Il compagno immediamente diffonde quelle foto, intime a tutti i compagni del calcetto.
La moglie di uno dei destinatari della foto ne prende visione. Riconoscendo nelle foto la maestra di asilo della figlia, decide di portare la questione alla Dirigente dell’Istituto.
La catena non si ferma qui: la Dirigente, preso atto di qualcosa che poi il tribunale avrebbe riconosciuto un atto nel quale la maestra era vittima e non colpevole, decide di fare il possibile per spingerla al licenziamento.
Un audio scioccante viene esibito al riguardo al processo, ci ricorda Repubblica
“Per favore, cercate di indurla a fare qualcosa di sbagliato: qualsiasi cosa succeda mi chiamate e io lo prendo come pretesto per mandarla via. Fatemi ‘sta cortesia, io non so più cosa fare”. E ancora: “Sarà una guerra durissima: con lei ce l’ho a morte, non voglio più vederla”. Il senso era chiaro: la giovane maestra vittima di revenge porn doveva andarsene, con le buone o con le cattive. E infatti dopo poco era stata licenziata.
“La battaglia” si concluse infatti col licenziamento: la guerra? Non esattamente
Le condanne e le reazioni
I capi di accusa contestati, in assenza del delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, arrivato solo dopo nel nostro ordinamento restano violenza privata, che sappiamo essere il reato col quale si costringe qualcuno ad agire in situazioni o tollerare situazioni da lui o lei non volute e diffamazione.
In tutto
la madre, assistita dall’avvocato Flavia Pivano, ora condannata a un anno con pena sospesa, si era insinuata nella vicenda facendo pressioni sulla maestra affinché non denunciasse il suo ex fidanzato che aveva diffuso le foto senza il suo consenso. In abbreviato rispondono della diffusione delle immagini anche il papà della piccola alunna e una collega di lavoro della maestra: lui è stato assolto, mentre lei è stata condannata a otto mesi. La sentenza per loro è stata pronunciata in contemporanea, in un’altra aula. L’ex fidanzato aveva invece già chiesto e ottenuto un anno di messa alla prova.
Sollievo da parte degli avvocati della maestra, che dichiarano
«Questa sentenza è importante: dimostra che nessuno, soprattutto le donne, dev’essere giudicato per ciò che fanno in camera da letto ma per la propria competenza e professionalità. Non siamo più nell’ottocento, non c’è nessuna lettera scarlatta».
Rimpianto per la stessa
“Sono soddisfatta, la verità è uscita fuori anche se dopo anni. Sono sollevata, so che andranno avanti facendo ricorso ma almeno abbiamo messo un punto fermo. Nessuno mi ha mai chiesto scusa e ancora adesso per colpa di questa vicenda non ho più trovato lavoro. Ma io voglio solo tornare a fare la maestra d’asilo”
E anche rimpianto per una delle imputate ora condannata in primo grado, la direttrice stessa
“Siamo tutti lupi cattivi in una storia raccontata male”
Azzardiamo, una storia che non avrebbe dovuto neppure esistere.
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