L’uomo nero su TikTok, così potremmo definire un audio che ci è stato girato.
Una voce abbastanza preoccupata che racconta che su TikTok, ma solo a Cascine di Buti (qualcosa che suona, invero, un po’ strano. Un social ha diffusione in tutto il mondo non solo locale) compare un “l’uomo nero su TikTok” che invita i ragazzi e i bambini ad atti di autolesionismo minacciando i loro genitori.
La mente corre al periodo in cui il Blue Whale divenne una concreta minaccia a causa del rischio emulazione, o quando lo “scherzo del medico della peste” esplose.
Ricordate entrambi? A forza di parlare del Blue Whale, fu letteralmente creato e codificato il fenomeno.
A partire da un ragazzo nel Regno Unito che si divertiva a fare foto spaventose vestito da medico della Peste, si è arrivati a intere Catene di S. Antonio di adolescenti pronti a spergiurare di aver visto gang di medici della peste dediti allo stupro ed all’ultraviolenza come i Drughi al tempo della Pandemia.
Ora, la stampa di Cascine di Buti non riporta casi di tentato suicidio.
Ma ora che c’è in giro un audio che descrive le azioni del fantomatico “uomo nero” che incita i minori al suicidio, paradossalmente il rischio che l’uomo nero su TikTok si palesi non è diminuito, ma è aumentato.
Non a caso ai tempi del Blue Whale parlavamo di effetto Werther: quando i media popolarizzano qualcosa, questo qualcosa si diffonde.
Quando Goethe scrisse i “Dolori del Giovane Werther”, involontariamente romanticizzando il suicidio, il numero di suicidi aumentò.
Quando si diffuse la mistica del Blue Whale, effettivamente cominciarono a comparire account che ne usavano i simboli per scherzi crudeli.
Diffusa la leggenda di Johnatan Galindo, qualcuno si prese la briga di cercare foto di mascheroni dalle gallerie di immagini online per imbastirci una serie di catene di S. Antonio.
Per non parlare dei “medici della Peste”, popolarizzati da audio concitati e presunte apparizioni.
Non neghiamo che l’audio che abbiamo ricevuto possa essere stato diffuso in buona fede. Magari il soggetto che ne parla ne ha davvero sentito parlare da qualcuno che si fidava. Ma convinto di star “immunizzando i giovani” dall’Uomo Nero su Tik Tok, sta letteralmente spiegando ad un malintenzionato come mettere a punto un account fake per terrorizzare i minori e spingerli all’autolesionismo, con istruzioni chiare come il manualetto di istruzioni di un kit di montaggio.
Se il fenomeno non si è ancora verificato, fornire le istruzioni per farlo aumenterà le possibilità che accada.
Il problema è che avete paura che i minori accedano ai Social? È un timore corretto, sappiamo che anche a seguito di casi del genere TikTok è stato costretto ad aumentare i controlli sugli account fake di minori di anni 13 indebitamente iscritti ai social.
Ma abbiamo un problema, e anche grave: un ragazzino di dieci anni con un account social, spesso lo apre col beneplacito, se non con la compiaciuta assistenza dei suoi stessi genitori.
Per quanto tecnologicamente colto possa essere un ragazzino, un decenne difficilmente ha in tasca i soldi per comprare uno smartphone, regalo dei genitori.
E difficilmente può nasconderne l’uso ai genitori: che più probabilmente ne consentono l’uso perché “tutti i ragazzini lo hanno” e per “non rendere loro figlio emarginato”.
L’approccio per cui ci si illude di evitare l’uomo nero informando i propri figli per mezzo di catene di S.Antonio finisce per creare l’uomo nero.
E non solo tra gli infratredicenni: storie come i medici della peste e Galindo sono nate tra gli adolescenti. Non meno impressionabili, non meno inclini alla pressione sociale, pronti a seguire il gruppo per lo stesso istinto sociale che affinato li porterà verso il concetto di società.
L’unico modo per evitare l’Uomo nero su Tiktok è riprendere in mano il ruolo di genitori, e vigilare sull’uso consapevole della Rete da parte dei loro figli.
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