L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che quasi 200 milioni di donne nel mondo abbiano subito la mutilazione degli organi genitali, di queste 3 milioni ogni anno sono bambine di età inferiore a 15 anni.
In particolare, l’infibulazione è una mutilazione genitale femminile (MGF) di terzo tipo che prevede l’escissione del clitoride, delle piccole e in parte delle grandi labbra, e la successiva ricucitura della vulva, svolta in modo tale da far rimanere un piccolo foro da cui l’urina e il sangue mestruale possano fuoriuscirne.
Questa pratica brutale, svolta per preservare la verginità della donna fino al matrimonio, è molto diffusa nell’Africa Subsahariana, specialmente in Somalia, dove la popolazione femminile colpita raggiunge quasi il 100%. A causa dell’immigrazione, questo fenomeno è anche diffuso in Europa: si stima che in Italia, siano 80.000 le donne mutilate e che le bambine a rischio di subire l’infibulazione siano 5.000.
La MGF lede la salute mentale, fisica e sessuale delle donne, motivo per il quale è considerata una grave violazione dei diritti umani ed una forma di violenza nei confronti delle donne, che riflette una manifestazione di disuguaglianza di genere.
L’infibulazione, essendo spesso svolta da persone non competenti e in condizioni di igiene precaria, porta allo sviluppo di svariate complicanze che possono condurre alla morte, così come è accaduto recentemente in Egitto alla giovane vittima Nada Abdel Maqsoud. In molti paesi africani, tra cui l’Egitto, la MGF è stata proibita dalla legge, ma, ciò nonostante, viene praticata illegalmente. Per contrastare questo fenomeno è nata così una “campagna internazionale contro la mutilazione genitale femminile” il cui scopo è quello di riunire gruppi di attivisti dei diversi Paesi, che diffondono l’informazione e promuovono iniziative volte a valorizzare e proteggere le donne.
Pensate che questa campagna riuscirà a raggiungere il suo obiettivo di abolizione della MGF entro il 2030?
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