Approfondimento

Like e condivisioni sono penalmente rilevanti, anche più dei contatti fisici: il caso dei post razzisti

Like e condivisioni sono penalmente rilevanti: questo quanto emerge da una lettura informata della Sentenza di Cassazione Penale 4534/2022, che analizza il tema della libertà di “like” ai tempi del Web 2.0.

Sentenza questa che oseremmo dire sconvolgente per la sua modernità. I social infatti sono, non a caso “equiparati al mezzo pubblico” per la dirompente carica del messaggio.

Un post che pubblichi ha le medesime possibilità di raggiungere la massima notorietà e viralità sia che provenga da un account “famoso”che di uno sconosciuto, ovunque essi fisicamente si trovino.

La cosa è indubbia quando si parla di contenuti, come ha scoperto recentemente un sessantenne accusato di postare dalla sua decina di computer usati simultaneamente in un monolocale ingiurie e minacce contro il Presidente della Repubblica.

Like e condivisioni sono penalmente rilevanti: il caso dei post razzisti

Come meglio esaminato dal Sole 24 Ore, nel caso di specie si parla di “communities”, comunità virtuali sparse su Facebook, WhatsApp e VKontakte (il “Facebook Russo”).

Comunità dedite allo scambio ed alla produzione di post legati al suprematismo bianco ed all’antisemitismo, in un fiorire di post legati alla negazione della Shoah ed a ideali neonazisti.

Un utente si è quindi trovato sottoposto alla misura cautelare dell’obbligo di presentazione e firma all’autorità giudiziaria in base al reato di propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale, etnica e religiosa di cui al 604bis c.p.

Utente che in sede di indagine si era rilevato intrattenere rapporti con alcuni utenti principali dei gruppi sulle tre piattaforme e dedicarsi all’attività di “like” e rilancio dei loro post.

La difesa dell’accusato aveva eccepito che la mera attività di gradimento dei post non poteva dimostrare altro che gradimento, senza dimostrare “’appartenza al gruppo né la condivisione degli scopi illeciti, soprattutto perché i contenuti graditi non sfociavano nell’antisemitismo e non andavano oltre la libera manifestazione del pensiero”.

Ma non è quello che ha deliberato la Suprema Corte.

“Metti like e condividi” equivale a viralità, viralità equivale a rischio

Possiamo riassumere il percorso argomentativo della Suprema Corte in questo.

Il fulcro della questione diventa proprio il senso dell’attività di Like: la Suprema Corte riconosce che i Social funzionano per “cerchie”.

Più utenti mettono like ad un contenuto, più esso diventa visibile, e comparirà nelle “cerchie social” degli altri.

Un avido “piacciatore” di contenuti xenofobi o deprecabili si renderà direttamente responsabile di esporre tutta la sua “cerchia social” (i suoi contatti diretti e i contatti degli stessi) a quel contenuto, viralizzandolo e dando vigore e potenza al contenuto, che così completerà la sua carica aggressiva esponendo più persone al suo messaggio.

Persone tra le quali ci saranno utenti “ricettivi” a tale pensiero.

Inoltre, i contatti “fisici” con gli utenti, sia pure non con la globalità degli utenti, restuiscono un quadro tale da suscitare il rischio di ripetizione della condotta e inquinamento delle prove. Gli utenti con cui era venuto in contatto infatti si spingevano a fornigli consigli su come occultare le sue tracce, cancellando periodicamente chat e messaggi, di talché l’accusato nonostante fosse a conoscenza dei provvedimenti in carico ad altri utenti, sia pur incensurato e “insospettabile”, decideva di perseguire l’affiliazione col gruppo.

Tutto questo rende ogni singolo iscritto, piacciatore e ricondivisore di contenuti un consapevole ingranaggio del meccanismo della visibilità Social, militante nel diffondere ed istigare.

Prospettive future

Con questa importante sentenza, la Cassazione Penale si avvicina ancora di più a comprendere il mondo dei Social e le sue conseguenze.

Non solo dunque contenuti razzisti: possiamo calare il sipario sui “Like/condivisione non significa gradimento” posti in base a contenuti ributtanti, deprecabili e penalmente rilevanti.

Non solo chi apertamente deride le vittime dell’Olocausto, ma anche chi decidesse di rendere chicchessia oggetto delle sue morbose attenzioni e chi “piaccia e condivide” i contenuti di entrambi potrà trovarsi dinanzi a gran brutte sorprese in futuro.

E la mente corre immediatamente ai “piacciatori e condivisori seriali” di minacce e ingiurie a giornalisti, medici e politici di cui la cronaca ci diletta in questi mesi.

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