Ci segnalano i nostri contatti una infinità di messaggi relativi al concetto di ONG navi pirata. Sostanzialmente, è quello che si ottiene quando una cognizione tecnico-giuridica viene lasciata al telefono senza fili che è Internet.
Partiamo da un concetto fondamentale: buona parte delle risposte che cercate le avevamo già rintracciate, a suo tempo, in questo articolo, il che rende a tutti il lavoro più facile. Basta rileggere e tornare qui.
E nel frattempo, cercheremo di rispondere nel modo più semplice e possibile al perché, probabilmente, quello che avete letto è passato per troppe mani, diventando così l’equivalente di quella fotocopia che a forza di essere spiegazzata e rifotocopiata è passata dall’essere un condivisibile appello ad una macchia confusa.
È pur vero che una nave ha bisogno di una bandiera, bandiera che regola i rapporti interni.
Sottolineiamo: rapporti interni, di talché
Secondo il diritto della navigazione, la nave segue la legislatura della bandiera a cui fa capo.
Se durante la navigazione in mare aperto, a bordo di una nave battente bandiera italiana venisse commesso un reato, il colpevole verrebbe giudicato secondo le leggi dello stato italiano. Se la nave non avesse bandiera e si trovasse a navigare in alto mare, chiamata “zona di nessuno”, non ci sarebbe soluzione per poter gestire fatti criminali o molto più semplicemente non si potrebbe gestire l’intero equipaggio perché mancherebbe un’ordinamento legislativo e giuridico.
Si tratta quindi di una questione afferente, sostanzialmente, ciò che accade all’interno di una nave, utile per evitare situazioni immaginifiche e fumettistiche di una nave che, lasciate le acque nazionali, possa diventare una centrale del crimine senza che nessuna entità possa provvedere.
Si tratta di una garanzia per lo stesso equipaggio, sostanzialmente. Per evitare, ad esempio, che un capitano ebbro di potere possa decidere di riesumare la grande era della navigazione e punire i mozzi con giri di chiglia e flagellazioni improvvisate.
Difatti il Trattato di Dublino considera competente per la domanda di asilo, qualora ogni altro criterio (visti, ambasciata…) sia fallito
Se il richiedente l’asilo ha varcato irregolarmente, per via terrestre, marittima o aerea, in provenienza da uno Stato non membro delle Comunità europee, la frontiera di uno Stato membro, e se il suo ingresso attraverso detta frontiera può essere provato, l’esame della domanda di asilo è di competenza di quest’ultimo Stato membro.
Lo stato di arrivo, ovvero varcato il confine nazionale.
In alcun modo possiamo quindi inferire che la bandiera comporti una estensione del confine nazionale, dato che il Trattato di Dublino parla espressamente di varcare irregolarmente la frontiera per via terrestre, marittima o aerea.
La legge odia le interpretazioni, a meno che queste non siano il più letterali possibili. Se Dublino 3 avesse voluto parlare di navi pirata, ne avrebbe parlato, non pensate?
In tempi non sospetti raccogliemmo pareri, ottendo che
Per il soccorso in mare è molto semplice quando viene lanciato un sos sono obbligate a rispondere tutte le imbarcazioni nella zona che coordinate o sostituite (spesso) dal servizio SAR ovvero imbarcazioni della Guardia Costiera o Marina Militare o da loro autorizzate. Per le aeree di soccorso, il servizio SAR è internazionale quindi le limitazioni delle acque territoriali decade anche se bisogna vedere le cordinate precise dove è stato lanciato il segnale di SOS visto che le acque nazionali hanno un estensione di 12 miglia nautiche se non esistono accordi fra gli stati a riguardo. Per il discorso del porto si tende a portare i naufraghi verso porti attrezzati per fornire assistenza sanitaria
Un buon spunto di partenza, ma non abbastanza.
Per l’abbastanza, abbiamo recuperato un po’ di normativa sui SAR
I salvataggi sono previsti da tutti i trattati internazionali e corrispondono alla ‘legge del mare’ secondo la quale bisogna sempre dare la precedenza alla tutela delle vite umane. L’Italia ha sottoscritto tre di questi accordi:
La Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare, nota anche come Convenzione di Montego Bay del 10 dicembre 1982 (UNCLOS) costituisce la fonte primaria del diritto internazionale del mare. Tra le norme che non possono essere oggetto di deroga da parte degli Stati anche mediante accordi con altri Stati c’è l’art. 98 dell’UNCLOS, perché esso costituisce l’applicazione del principio fondamentale ed elementare della solidarietà. Ogni Stato – si legge nel citato art. 98 – impone che il comandante di una nave che batta la sua bandiera, nei limiti del possibile e senza che la nave, l’equipaggio ed i passeggeri corrano gravi rischi: a) presti assistenza a chiunque si trovi in pericolo in mare; b) vada il più presto possibile in soccorso delle persone in difficoltà se viene informato che persone in difficoltà hanno bisogno d’assistenza, nei limiti della ragionevolezza dell’intervento; c) presti soccorso, in caso di collisione, all’altra nave, al suo equipaggio ed ai passeggeri e, nella misura del possibile, indichi all’altra nave il nome ed il porto d’iscrizione e il primo porto del suo approdo. Il secondo comma prevede che gli Stati costieri creino e curino il funzionamento di un servizio permanente di ricerca e di salvataggio adeguato ed efficace per garantire la sicurezza marittima e aerea e, se del caso, collaborino a questo fine con gli Stati vicini nel quadro di accordi regionalL’art. 10 della Convenzione del 1989 sul soccorso in mare dispone che ogni comandante è obbligato, nella misura in cui ciò non crei pericolo grave per la sua nave e le persone a bordo, a soccorrere ogni persona che sia in pericolo di scomparsa in mare.
La terza Convenzione internazionale che viene in considerazione con particolare riguardo alla ricerca delle persone ed al salvataggio è la Convenzione SAR che si fonda sul principio della cooperazione internazionale. Le zone di ricerca e salvataggio sono ripartite d’intesa con gli altri Stati interessati. Tali zone non corrispondono necessariamente con le frontiere marittime esistenti. La Convenzione SAR impone un preciso obbligo di soccorso e assistenza delle persone in mare “regardlerss of the nationality or status of such a person or the circumstances in which that person is found”, senza distinguere a seconda della nazionalità o dello stato giuridico, stabilendo oltre l’obbligo della prima assistenza anche il dovere di sbarcare i naufraghi in un “luogo sicuro”, che non è necessariamente il porto più vicino[1]. (vedi anche ‘porto non sicuro’)
Pur trovando per questo da rivedere il nesso eziologico tra le maggiori morti negli ultimi anni (dovute all’aumento dei flussi migratori dati i noti problemi di geopolitica dei paesi interessati) e operazioni di Salvataggio, dobbiamo rilevare che già da Montego Bay in poi i confini stabiliti per il soccorso non coincidono con le frontiere marittime esistenti e comportano l’obbligo di assistere e sbarcare i naufraghi in difficoltà anche in porti non vicini… navi pirata o meno.
Possiamo concordare con la voce nel video che molte operazioni descritte come salvataggio in realtà erano operazioni di SAR, ma proseguendo la lettura della rassegna stampa fornita da Parlare Civile ci imbattiamo in un secondo interrogativo.
Sostanzialmente, non solo non esiste alcun obbligo delle “navi ONG” a portare gli “immigrati” dove hanno la bandiera, ma, facendolo, violerebbero diverse convenzioni internazionali e contemporaneamente!!!
La legge infatti è una immane partita a Carta-Forbice-Sasso dove le Convenzioni Internazioni prevalgono sulle norme Europee le quali prevalgono sulle normative nazionali.
Il perché ovvio: il diritto internazionale non avrà cogenza diretta, ma trattatizia: sostanzialmente non è una nave pirata la nave che soccorre immigrati, ma diventa uno stato “canaglia” quello che, avendo aderito a trattati, decide di farne cherry picking decidendo in modo arbitrario quale parte accettare e quale meno.
Immaginate il Diritto Internazionale come un Club molto esclusivo: voi accettereste un socio che, dopo aver letto il regolamento, si arrogasse il diritto di scegliere da sè quali articoli applicare e quali disattendere in base, ad esempio, a regole di altri Club di cui fa parte, all’uzzolo del momento oppure alle regole familiari?
Riteniamo di no, e riteniamo allontanereste questo socio impedendogli di partecipare alle attività future del club.
Così è per le “navi pirata”.
A questo proposito bisogna ricordare che, non esiste obbligo di portare i naufraghi AL PIU’ VICINO porto sicuro, ma solo ad un porto sicuro che, in linea teorica, dovrebbe essere indicato dal governo responsabile delle operazioni SAR nell’area in cui è avvenuto il salvataggio.
Sovente, per quanto riguarda la tratta libica il governo responsabile dovrebbe essere non già quello della “nave di bandiera”, ma quello libico, che al momento non è soluzione praticabile, e da qui la necessità di sbarcare migranti prevalentemente a Malta o in Italia (ma specialmente in Italia, visto che Malta ospita già 5000 profughi su una popolazione di meno di 450000 abitanti).
Siamo quindi, effettivamente, di fronte ad un dubbio legittimo al quale nessuno, fino ad oggi, si era fermato a cercare una risposta corretta, e che è bene trovare.
Se vi piace un incidente diplomatico…
Interessante è dal punto di vista normativo una lectio magistralis offerta dal Consiglio Nazionale Forense, Scuola superiore per l’avvocatura che evidenzia una serie di casi di scuola da studiare assieme, redatta ai tempi di Mare Nostrum.
E voi vi fidate del Consiglio Nazionale Forense, vero?
Facciamolo anche noi:
In base alle regole convenzionali (ed interne) le operazioni di coordinamento per il salvataggio e soccorso in mare spettano alle unità di terra quali, a seconda del tipo di intervento, U.G.C (unità di Guardia Costiera), M.R.S.C. (Centro secondario di soccorso marittimo) o M.R.C.C. (Centro nazionale di coordinamento del soccorso marittimo). Con l’operazione Mare Nostrum, al contrario, si attribuisce questo compito di coordinamento, ad una unità navale. L’operazione Mare Nostrum, con l’intercettazione dei migranti ben oltre le zone SAR di competenza e con l’attribuzione ad una unità di mare del ruolo di autorità coordinatrice delle operazioni, ha di fatto bypassato le competenze attribuite alle autorità di terra. Di particolare interesse è l’intervento del Capo di Stato maggiore della Difesa, Ammiraglio Luigi Binelli Mantelli, in occasione della conferenza stampa del 14.10.13 del Vicepresidente Alfano. In detta circostanza l’Ammiraglio ha spiegato che la direzione dell’operazione spetterà al Capo di Stato Maggiore della Marina e al Capo di Stato Maggiore della Difesa per quel concerne l’assegnazione delle forze, delle risorse e la definizione, di concerto con i ministeri competenti, delle regole del gioco e cioè di ciò che occorre fare nelle varie situazioni. L’operazione dunque è gestita dai ministeri competenti.
Ovviamente siamo qui a disposizioni per altre informazioni.
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