I frutti attossicati dell’onda montante di negazionismo attinto da eventi di antisemitismo in tutto il mondo, Italia compresa, stanno creando momenti grotteschi. Dopo essere stati subissati di una nuova definizione di “antisemitismo” per cui si può odiare con ferocia gli ebrei, ma finché non hai coinvolto nei tuoi strali almeno un Ittita, un Fenicio, un Cartaginese o un Abissino non sei assolutamente un antisemita, scopriamo che secondo alcuni la Segre non è mai stata in un campo di concentramento.
La fonte? Un video YouTube che, di fatto, a guardarlo neppure ha il “mien” di affrontare direttamente l’argomento, svicolando in un cherry picking di presunti errori basato su fallacie del ragionamento.
Insomma, robe tipo “Siccome io presumo che qui Liliana Segre abbia compiuto errori allora io le do’ della bugiarda e quindi potete negare tutto”.
Cosa ascentifica e falsa. Smontiamo il giocattolino negazionista.
Liliana Segre aveva 13 anni quando il suo incubo è iniziato.
Era il 1943: sotto l’onda montante delle persecuzioni antisemite che per molti ormai sono solo un ricordo (tale da avere genitori che chiedono di cancellare il nome stesso di Anna Frank per motivi “culturali”…) e per altri qualcosa che di bandiera in Stella di David incisa o disegnata sui muri si vorrebbe riportare in auge, i Segre (padre e figlia, la madre era morta quando lei era ancora piccola) tentano la fuga in Svizzera.
La fuga fallisce: il 10 settembre del 1943 alla viene incarcerata per 40 giorni (circostanze del tutto documentate), e il l 30 gennaio 1944 venne deportata dal binario 21 della stazione di Milano Centrale al campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, che raggiunse dopo sette giorni di viaggio.
Dopo aver ricevuto il numero di matricola 75190 e subito tre selezioni (il procedimento per cui periodicamente i prigioneri dei campi venivano uccisi, lasciando in vita i più “utili e abili al lavoro”), il primo maggio del 1945, quindi due anni dopo viene liberata dall’Armata Rossa dal campo di Malchow, dipendente dal complesso di Ravensbruck e dedicato alla detenzione di prigionieri di sesso femminile.
Di 776 minori infraquattordicenni Italiani, ne sopravviveranno solo 25, lei compresa.
Si chiama metonimia, non mi aspetto da un video che contiene enormi falsificazioni storiche per accusare di falsificazione una vittima della Shoah una conoscenza profonda della lingua Italiana
“Figura della retorica tradizionale, che consiste nell’usare il nome della causa per quello dell’effetto (per es. vivere del proprio lavoro ), del contenente per il contenuto ( bere una bottiglia ), della materia per l’oggetto ( sguainare il ferro ), del simbolo per la cosa designata ( non tradire la bandiera ), del luogo di produzione o di origine per la cosa prodotta ( un fiasco di Chianti ), dell’astratto per il concreto ( eludere la sorveglianza ).”
Nel linguaggio comune è stato usuale per anni contrapporre “Russia e America” quando di fatto la Guerra Fredda era tra Patto di Varsavia e NATO, non per questo significa che ogni volta che abbiamo parlato storicamente parlato di America in luogo della NATO e Russia in luogo di URSS e Varsavia abbiamo commesso un falso.
Anzi, secondo tale “logica” potremmo obiettare che definire il “Patto di Varsavia” come “Varsavia” è un falso storico perché dichiara che l’intero blocco Sovietico viveva nella cittadina e capitale della Polonia.
A parte il fatto che anche Manzoni parla di “venticinque lettori” eppure mi risulta si siano vendute nei secoli molte più copie dei Promessi Sposi, è lo stesso Primo Levi a descrivere la liberazione dal Campo di Concentramento di Auschwitz (mentre, ricordiamo, la Segre fu liberata da Malchow)
“Erano quattro giovani soldati a cavallo, che procedevano guardinghi, coi mitragliatori imbracciati, lungo la strada che limitava il campo. Quando giunsero ai reticolati, sostarono a guardare, scambiandosi parole brevi e timide, e volgendo sguardi legati da uno strano imbarazzo sui cadaveri scomposti, sulle baracche sconquassate, e su noi pochi vivi.”
Riportando i dati dei primi quattro soldati dell’avanguardia che per primi notarono i reticolati di Monowitz dando allarme e origine ad una delle pagine più delicate de “La tregua”, nel capitolo intitolato “Il disgelo”.
Libro che si sarebbe potuto, anzi dovrebbe essere obbligatorio leggere in tutte le scuole e dovrebbe essere reso obbligatorio a chiunque abbia condiviso il video che ci ha sottoposto sotto pena della perdita dell’accesso a tutti i social.
Quantomeno per contrastare una pericolosa onda di oblio.
Le accuse rivolte alla Segre nel breve video di quattro minuti indicatoci risultano strumentali, false e legate da errori di metodo superiori a quelli di cui si accusa l’eminente divulgatrice e pubblica personalità, rendendo l’accusa rivolta alla stessa di non essere mai stata deportata ad Auschwitz un falso particolarmente protervo.
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