Le avventure testuali italiane e “Il Dominio di Meandro”: l’avventura più letteraria (con intervista)
Abbiamo parlato del genere delle avventure testuali, nate tra i primi esempi di storia videoludica con Colossal Cave Adventure degli anni ’70. Quello che dovremmo dirvi è cosa ha generato: un intero genere di avventure testuali, prolifico anche in Italia, ed un gioco così misterioso da confinare con la “creepypasta” all’Italiana, la leggenda metropolitana inquietante e misteriosa, ma che leggenda non è.
E in Italia l’avventura è partita da Avventura nel Castello, del 1982. La cui ispirazione era direttamente Colossal Cave Adventure
Avventura nel Castello: l’origine del gioco all’Italiana
Correva l’anno 1980, e i coniugi Enrico Colombini e Chiara Tovena si erano messi in società con due amici Roberto Cerruti e Marco Morocutti per fondare una ditta basata su quella che era la moda del momento: i microprocessori.
Per essere precisi il 6502, iconico processore cui abbiamo dedicato un intero articolo e cuore pulsante dell’informatica domestica ed economica degli anni ’80.
Enrico Colombini si imbatte così in un computer anonimo “grosso come un armadietto” con precaricato Colossal Cave Adventure, gioco che ora sappiamo essere in grado di girare su qualsiasi computer dell’epoca, dal grosso server al computer domestico.
Colombini ne rimane così conquistato da giocarvi per tutto il giorno e cercarlo l’indomani, senza successo. Al momento però di comprare un Apple II per la sua ditta, Colombini e Tovena si trovano davanti ad uno dei porting di CCA.
Come ogni giocatore dell’epoca frustrato dalla difficoltà dei giochi, Colombini decide di craccarlo e sproteggerlo per rendere il salvataggio indipendente dalla morte del personaggio: questa sorta di God Mode improprio gli consente sia di finire il gioco che di impratichirsi col suo linguaggio.
Colombini non conosce ancora Zork, e quindi non è a conoscenza della Z-Machine, la “macchina virtuale” usata per creare avventure testuali multipiattaforma: decide quindi di riscrivere il gioco da zero, interfaccia compresa.
Dopo un anno di lavoro “tra i ritagli di tempo” in ditta riesce a comprare un floppy drive usato per un Apple II regalatogli da un negozio di informatica: crea così la primissima versione di Avventura nel Castello, laddove interpreti un esploratore precipitato dal cielo (dovrai quindi sopravvivere prima alla distruzione del tuo aereo) caduto a Lockness per una breve avventura, un paio di ore di esplorazione, pubblicato da J. Soft, uno degli editori di giochi dell’epoca.
Seguirà una seconda edizione, con un sistema di protezione anticopia avanzato (“P2”, dal nome della nota loggia) e la creazione di due linguaggi di programmazione per avventure grafiche, ADL e Modulo Base.
La pirateria diffusissima nel mercato videoludico italiano aveva stroncato per sempre la possibilità di proseguire l’avventura commerciale di molti creativi, tra cui Colombini.
Aveva però aperto con Modulo Base e la pubblicazione di Jackson editore di “Scrivere un gioco di avventura sul personal computer” il concetto di avventure testuali all’Italiana.
Nella sua brevità Avventura del Castello aveva tutto quello che potremmo sperare da una avventura testuale: il bisogno di creare una mappa di gioco, un parser vivace e giocoso, e qualche easter egg, come quello legato ad un tenero gattino cui dare il lattemiele o compiangere in caso di dipartita.
C’è anche un elemento tipico delle prime avventure testuali: una forte componente ironica e buffa.
Avventura nel Castello come vedremo ha avuto un ulteriore merito: entrato nella libreria di Michele Giordano, ha fatto in modo che una delle più importanti e misteriose avventure testuali all’italiana trovasse il suo compimento.
Il seguito
Colombini e Tovena torneranno molte volte nell’agone, creando giochi come L’Astronave Condannata e L’anello di Lucrezia Borgia.
Nel 1986 partirà la saga di Zona Quarta, serie di avventure testuali firmate da Roberto Tabacco, e nel 1987 Melissa introdurrà una variante assai semplice. Avventure di testo scritte direttamente in BASIC per Commodore 64 in cui non vi è un parser, ma una scelta multipla tra più azioni proposte, sistema anche usato nel più intrigante Mistero a Villa Martini.
La storia delle avventure testuali in BASIC verrà ad intersecarsi con la storia dei giochi distribuiti su rivista: Speedy Computer ad esempio pubblicherà diversi codici di pagine e pagine da ribattere: così facendo si potevano duplicare “a mano” avventure testuali come Il mistero della Montagna di Argento.
La diffusione del Commodore 64 come tipico computer per famiglie italiano, delle “riviste e cassette da edicola”, da un lato limitarono le prospettive commerciali degli editori, dall’altro favorirono un sottobosco di situazioni estemporanee. Ricco sottobosco nel quale arriviamo all’avventura più bizzarra e creepy, ma in senso buono, della storia italiana.
Ci avviciniamo al Dominio di Meandro
Arriviamo così a Michele Giordano: scrittore e storico, araldo del desktop publishing.
Innamorato delle parole e della ricerca, che quindi trova il suo naturale sbocco nell’avventura testuale più lirica, straniante e insieme affascinante dell’universo delle avventure testuali Italiane, forse del mondo.
Non lo dico per quel genere di piaggeria tutta Italiana che porta ad esempio il nostro amato conduttore Gerry Scotti a decretare che ogni borgo italiano diventa, automaticamente “uno dei borghi più belli di Italia”.
Come vedremo il Dominio di Meandro arriva al livello di complessità e lirismo di A Mind forever Voyaging di Infocom, però con echi di Italo Calvino, riportato tra le fonti di ispirazione nel suo portale ancora adesso online e una forte influenza di Edgar Allan Poe e ci arriva partendo da un team di sviluppo praticamente unipersonale, ovvero limitato al solo Michele Giordano.
Lo stesso nome e ambientazione, ovvero il Dominio di Meandro prende le mosse dal romanzo di Edgar Allan Poe Le terre di Arnheim (in originale, The Domain of Arnheim), rendendo quindi il Dominio una versione claustrofobica e insieme multidimensionale delle Terre.
E lo fa in un ecosistema videoludico in cui praticamente lavoravi per passione, tra pirateria rampante a renderti quasi impossibile (salvo fortunate eccezioni) rendere il videogame un lavoro a tempo pieno e una giurisprudenza che concordava col sentire comune nel ritenere il videogioco “un passatempo per gente sfaccendata”.
Michele Giordano nasce quindi fotografo e esperto di iconografia per sua stessa ammissione, diventando poi ricercatore per la stesura del suo testo La stampa illustrata in Italia, la cui genesi comprende peraltro un enorme numero di diapositive di testi “fai da te” ottenute in proprio con una macchina fotografica per la creazione e un contafili (piccola lente di ingrandimento ad elevato ingrandimento usata dai tessitori) a guisa di un lettore di diapositive.
A questo punto Giordano scavalla dalle arti figurative alle arti letterarie: nelle sue parole
“Scrivere, o più umilmente maneggiare le parole, mi attirava ormai più che trafficare con la macchina fotografica.”
Diventa quindi un prolifico ed eloquente scrittore, autore peraltro della Bibliografia dei giornali lombardi satirici e umoristici, composto integralmente su un Macintosh sfruttando una stampante LaserWriter e i primi editor di testo WYIWYG, ovvero quelli che consentono di visualizzare su monitor l’aspetto definitivo di un testo.
Ci sarà qualche intoppo ed un paio di errata corridge nella prima edizione dovuti a problemi di impaginazione che una moderna stampante laser non avrebbe, ma Giordano a questo punto era ormai lanciato nel mondo della scrittura e della parola, un’avventura che sarebbe poi diventata una grande avventura.
Ma anche nell’informatica: come vedremo, il Dominio di Meandro sarebbe stato impossibile senza una conoscenza approfondita del funzionamento del lettore floppy 1541 e del processore 6510, nonché dell’Assembly.
Il Dominio di Meandro
Il Dominio di Meandro è un pezzo del mondo di Calvino trasportato nel freddo universo digitale. Come Zork, citato espressamente tra le fonti di ispirazione, ha un narratore gioviale e simpatico, ancorché con un linguaggio più affine al sentire letterario di Italo Calvino, e come Italo Calvino un inizio medias in res.
Il giocatore si trova nella sua stanza dinanzi all’amato Commodore 64, ma ad un certo punto, immerso nella scrittura, sente e percepisce che “qualcosa” è cambiato: il narratore lo sprona quindi a guardarsi intorno, senza suggerire i comandi da impartire: se farete le cose per bene, evitando quindi le buffe reprimende del narratore stesso, scoprirete che la finestra della stanza è diventata nello stile del fantasy più moderno uno specchio.
Ma uno specchio alla Lewis Carroll, quasi cedevole sotto la semplice pressione di una mano, permeabile e attraversabile.
Attraversandolo si entra nel Dominio: ma uscirne non è facile. Il Dominio ti tenta con un grande Segreto: segreto che io stesso ho provato, senza successo come molti a raggiungere.
Per trionfare in Colossal Cave Adventure devi essere in grado di saper creare una mappa della Mammuth Cave. Per trionfare in Zork puoi mappare il Great Underground o cedere alla tentazione di comprare una delle guide ufficiali, concetto inventato dagli stessi autori.
Nel Dominio di Meandro non ci sono guide ufficiali, non ci sono scorciatoie, non esiste la parola magica XYZZY che possa salvarti dall’impaccio. Devi solo mappare ed esplorare tutto. In una mappa che è letteralmente tridimensionale, sia pur perfettamente euclidea: ogni stanza del Dominio consente di navigare verso i quattro punti cardinali, più le direzioni alto e basso, in un numero di stanze reso illimitato dalla struttura del Dominio che cessa di avere un ingresso e un’uscita che non siano la scoperta del Segreto o la Morte.
Morte che è facilissima da raggiungere: basta ad esempio distrarsi nelle prime stanze e ritenere che il profumo che si “intensifica” nelle prime stanze sia un indizio per essere divorati da una pianta carnivora.
Tra biblioteche (amore dell’autore) piene di libri di ogni tipo che ti fanno venire la tentazione di fermarti e contemplare i titoli, enigmi basati su oggetti siti in stanze remote Internet è piena di video e richieste di aiuto per domare il Dominio, ma prive di risposta.
Volendo misurare il Dominio, siamo ad un castello con un numero di stanze misurato nell’ordine di grandezza del centinaio, una libreria interna da migliaia di titoli e un parser che non sfigura dinanzi ai tentativi commerciali dell’epoca di avere un prodotto che si avvicinerebbe, almeno come sensazioni, a quello che oggi definiremmo una IA. Come e più di Eliza e Little Computer People, il gioco spingeva le potenzialità del Commodore 64 facendo lavorare in tandem il 6510 e il 6502 del lettore floppy, il 1541 o cloni: le chiamate dirette al disco aggiungevano un elemento random.
Due anonimi dichiarano, nel 2017 e nel 2021, di aver scoperto il Segreto, ma in quanto tale ovviamente rifiutano di disvelarlo ai giocatori.
Ed anche se essi avessero voluto, a nulla sarebbe servito: ulteriore esempio di modernità, il Dominio è costruito in modo da pervenire al Segreto per almeno una ventina di diverse possibili vie, e l’elemento random fa in modo che talora siano necessari diversi tentativi per raggiungere il medesimo risultato, e che le vie si intreccino tra di loro consentendo un cambio di rotta.
Un giocatore attento ci metterà mesi per esplorare il Dominio, con assiduità e disegnando la propria mappa, adempimento necessario dato che al contrario di Zork non esistono e probabilmente non esisteranno mai guide commerciali e fanmade, mappe, feelies e indizi.
Ma scoprirà che il fascino dell’avventura non è nello “scoprire il Segreto”, ma negli infiniti viaggi che dovrà fare per cercare di raggiungerlo.
Uno dei motivi per cui il Dominio di Meandro è amatissimo da una parte dei giocatori ma immeritatamente sconosciuto a molti altri è proprio essere legato a doppio filo al lettore floppy (reale o emulato).
Oggi è possibile giocarlo emulato su VICE o su una UltimateII+: all’epoca non avresti mai “trovato il Dominio su cassettine pirata da edicola”, cosa che in un ecosistema basato sulla pirateria e dove i floppy drive arrivarono tardi nelle case dell’italiano medio poteva essere un problema.
L’intervista all’Autore
Grazie ai nostri umili mezzi abbiamo rintracciato l’Autore del Dominio: egli è infatti ancora vivo ed attivo nelle sue passioni. Siamo riusciti ad intervistarlo: probabilmente la prima cosa che verrebbe in mente a chi si sia innamorato del suo gioco per primo
Domanda: Quando ha cominciato a pensare al progetto?
Risposta: Fatico a rispondere a questa domanda, ma credo che due anni prima dell’uscita possa essere una risposta abbastanza attendibile.
Domanda: Cosa ha creato l’ispirazione del Dominio di Meandro?
Risposta: Non ho mai avuto particolare interesse per i videogiochi grafici, ma la scoperta di quelli testuali ha scatenato il mio spirito di emulazione.
Domanda: Leggo nei suoi testi che il Dominio tra forte ispirazione da Zork: aveva mai giocato altre avventure in lingua italiana come “Avventura nel Castello” e “Mistero a Villa Martini?”
Risposta: Il primo sì; il secondo no.
Domanda: Alcuni giocatori affezionati hanno paragonato il suo gioco ad una Scala di Penrose declinata in tutte le possibili direzioni: considererebbe tale descrizione esatta? Altrimenti come la emenderebbe?
Risposta: Mi lusinga che vi siano giocatori così acuti, ma devo dire che la geometria del Dominio è totalmente euclidea.
Domanda: Il Dominio di Meandro viene ad oggi definito un gioco di difficile risoluzione e non esistono ad oggi gameplay completi: è possibile scoprire il segreto del Dominio?
Risposta: Sì, è possibile. Devo aggiungere che non esiste una sola via per scoprire il segreto, ma non meno di una ventina che si intrecciano.
Domanda: Avrebbe consigli per chi si è arreso in esso?
Lasciarsi andare al piacere dell’esplorazione. Va detto che il Dominio è un luogo non del tutto deterministico. Ricordo che io stesso, testando il programma con i passaggi alla mano, più di una volta non sono riuscito a giungere al segreto, ma ci sono riuscito la volta successiva. Ribadisco però che la geometria è euclidea.
Domanda: Volendo quantificare il numero di stanze nel Dominio, in che ordine di grandezza ci troveremmo?
Risposta: 10^2. Ma in una di esse c’è una biblioteca con migliaia di volumi.
Domanda: Il parser del Dominio è, in base alla mia esperienza diretta e rigorosamente atecnica, superiore per vitalità e immersione a quanto riscontrato in molti prodotti d’epoca: a distanza di anni, ci svelerebbe il suo segreto?
Risposta: Il parser fu sviluppato in linguaggio macchina, cosa che permetteva parecchia flessibilità; l’accesso ai testi avveniva tramite chiamate dirette al disco, senza servirsi del BASIC; la funzione random è uno dei motori del gioco.
Domanda: Esisterà mai una raccolta di consigli e manualistica per chi volesse oggi cimentarsi in esso?
Risposta: Al momento considero la cosa piuttosto remota.
Domanda: Quante delle sue passioni sono permeate nel Dominio?
Risposta: Le parole scritte, comprese quelle, al tempo, del BASIC e dell’Assembly del microprocessore 6502.
Domanda: Perché chiamarlo “Dominio di Meandro?”
Risposta: Al tempo ero molto interessato ai racconti di Edgar Allan Poe. Uno di essi s’intitola The Domain of Arnheim e parla di uno smisurato giardino colmo di meraviglie. Il Dominio di Meandro mi pareva la versione chiusa e un po’ claustrofobica del racconto di Poe e l’ho fatta mia.
Grazie 🙂
Prego.
Gli eredi del Dominio
Anche grazie a interpreti come Ozmoo, che consentono di creare nuove avventure testuali in formato Z-Machine su macchine datate, continua ad esistere un prolifico mercato dell’Avventura Testuale, con giochi sempre nuovi e capolavori come Darkiss del 2011.
Perché le avventure testuali, specie compatibili con computer datati non moriranno mai? Perché difficilmente morirà l’amore per la nostalgia, va detto.
E perché un’avventura di testo è fiction interattiva: un libro di cui sei tu il protagonista e controlli la GPU più potente creata dalla mente umana: la fantasia.
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