Diamo tante cose per scontate, specialmente quando organizziamo riunioni, dal vivo o in smart working. Il recentissimo caso di un video russo congegnato per deridere la VP candidata alla presidenza USA Kamala Harris ci ricorda che forse anche in quelle occasioni potremmo essere più inclusivi.
Molte delle persone con cui interagiamo, de visu o da remoto, sono persone con disabilità, e con esigenze che vanno oltre la semplice riunione. Una persona con disabilità uditive potrà aver bisogno di ausili come sottotitoli, audio incrementato o della possibilità di poter leggere le labbra, una persona con disabilità visive potrà trarre beneficio da una descrizione del luogo della riunione e delle persone che vi partecipano.
Non c’è niente da sottoporre a derisione: la derisione la merita chi ignora tali esigenze, non chi le mette in atto.
In alcuni luoghi, ad esempio negli USA, l’autopresentazione è un atto codificato.
Non legalmente ovviamente, ma descritto con un vero e proprio galateo in più punti da seguire.
L’autodescrizione, con cui si introduce se stessi a soggetti con diversi gradi di disabilità, va effettuata infatti in un modo assai preciso.
Esempi di autopresentazione potebbero essere, per chiarirci:
“Mi chiamo Tizio, sono relatore del convegno sull’accessibilità per conto dell’Organizzazione X, i miei pronomi sono “he/them”. Sono un uomo vestito con una polo Lacoste grigia seduto dinanzi ad una scrivania con un tablet, una bottiglia d’acqua e gli atti di questo convegno. L’organizzazione, che ringrazio, è venuta incontro alle mie esigenze di accessibilità e non abbisogno di altro”
Oppure
“Mi chiamo Gaia, sono esperta in investimenti bancari presso la Cassa di Risparmio tale. I miei pronomi sono “She/her”. Sono una donna coi capelli lunghi al collo di colore biondo scuro, gli occhi azzurri ed un paio di occhiali, indosso una giacca viola, sono di etnia indiana. Avrei bisogno che lasciate scoperte le labbra quando parlate: per favore non coprite la bocca con le mani
O
“Mi chiamo Mary, assumo il ruolo di moderatrice di questo convegno organizzato dall’ente X. I miei pronomi sono “She/them”. Sono una donna di etnia caucasica coi capelli scuri e gli occhi castani, indosso una camicia fucsia e sono seduta davanti al computer col quale modererò gli interventi. Per esigenze di salute avrei bisogno di assentarmi frequentemente durante il convegno: gradirei che in tali occasioni la telecamera non mi inquadri”.
Basterebbe davvero molto poco per rendere l’ambiente più accogliente per tutti. Ma non lo facciamo.
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