L’AGCOM ha sanzionato Facebook per una pratica commerciale scorretta: molti di voi questa mattina si sono svegliati con questo avviso nel loro “feed” notizie, la pagina principale di Facebook con tutti i messaggi.
Molti di voi saranno incuriositi, perplessi: ma la realtà è molto più banale e allo stesso tempo concreta di quello che sembra.
Parliamo dell’ottemperanza finale ad un provvedimento del novembre 2018.
Un proverbio recita “Non esistono al mondo pasti gratis”.
Ovvero, nessuno ti regala niente per niente.
Solo uno stolto, una persona male informata, potrebbe essere convinta che un servizio gratuito non comporti assolutamente niente.
Per anni, chi si iscriveva a Facebook veniva accolto da una schermata che recitava
“Facebook è gratuito. E lo sarà per sempre”
Un modo per spezzare le infinite bufale su “Facebook Plus”, o altre forme della bufala “Facebook diverrà a pagamento Sabato prossimo”.
Ma un modo considerato dall’AGCOM erroneo: dire che Facebook è gratuito “e lo sarà per sempre” non significa che Facebook sia sostenuto dalla mera liberalità di Zuckerberg.
Significa che Facebook si sostiene con le pubblicità mirate. Incamera i dati degli utenti, e propone loro pubblicità. Pubblicità che si traducono in moneta.
Cosa che secondo l’Unione Europea non è esattamente gratuità.
Sostanzialmente, in un modo o nell’altro gli utenti fruttano a Facebook il denaro necessario per tenere in piedi il servizio, e anche guadagnarci.
Per questo ora il messaggio introduttivo è diverso
La nuova iscrizione descrive l’atto come “veloce e semplice” e non gratuito.
Il che non significa che si paghi qualcosa in denaro, ma bisogna essere consapevoli che i nostri dati serviranno per sostenere Facebook stesso, quantomeno come messaggi promozionali mirati.
Questo, escludendo pagine della cronaca come il caso Cambridge Analitica che dovrebbero aver insegnato agli utenti il principio di cautela.
Proprio dal caso Cambridge Analitica, il noto quotidiano online “Il Post” infatti trasse occasione per impartirci una lezione.
Il servizio è gratuito, ma come spesso avviene online è in realtà “pagato” con i dati degli utenti: l’applicazione che lo utilizza ottiene l’accesso a indirizzo email, età, sesso e altre informazioni contenute nel proprio profilo Facebook (l’operazione è comunque trasparente: Facebook mostra sempre una schermata di riepilogo con le informazioni che diventeranno accessibili).
E le informazioni, come sapete, diventano denaro sonante nel mondo della Rete.
Per questo, cliccando su quel banner, si perviene ad una succinta pagina dove si parla della raccolta dei dati, con intento commerciale, forniti dagli utenti.
E secondo l’AGCOM è un errore enfatizzare la gratuità di un servizio dove il costo non è in moneta, ma è quell’insieme dei dati, dai nostri like fino a nome, cognome e località, che consentono di pervenire alla moneta.
I più avveduti tra voi non si svegliano certo più saggi, ma tutti coloro che, ad esempio, credono di poter combattere gratuitamente “il sistema” con improbabili avvisi di “non consenso” contro la vendita dei dati, o addirittura contro le leggi degli stati nazionali, hanno scoperto oggi una amara lezione.
Immaginate dunque oggi un soggetto che, ignaro della profilazione insita nelle attività di ogni social, si sia “gratuitamente” iscritto, abbia debitamente fornito ogni suo dato, messo like a tutte le pagine da lui ritenute favorevoli e si sia dedicato a scrivere cose come
“Non do’ il consenso al prolungamento dello stato di emergenza”
e
“Non do’ il consenso all’utilizzo dei miei dati”
Non si smette mai di imparare, vero?
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