Avrete anche voi letto la ridda di titoli in ciclostile: “L’Accademia della Crusca dichiara Cringe una parola Italiana”.
Avrete anche voi letto i commenti di gente che ha problemi ad adottare l’uso corretto dell’h, con vistosi problemi di punteggiatura, salire sulle barricate per difendere la Preziosa Lingua Italiana dalle contaminazioni della Perfida Albione e dei giovani delinquenti tutti videogiochi violenti e movida molesta.
Ed è un copione che abbiamo già visto.
Sì, la stessa storia di quando il Popolo della Rete insorse dichiarando che l’Accademia della Crusca aveva sdoganato l’uso transitivo nella locuzione “Scendo il cane che lo piscio”.
O quando l’effetto Streisand portò la lotta contro l’Accademia della Crusca ed il termine “petaloso” a diventare una piaga ubiquitaria in ogni discussione, immortalizzando un tormentone che altrimenti sarebbe durato meno del Fidget Spinner, della lotta ai giocatori di Pokemon GO e della Charlie Charlie Challenge.
Perché come abbiamo avuto modo di dirvi più volte nei commenti ai citati articoli precedenti, in realtà la sezione “Parole Nuove” non ha il significato di santificare parole a caso per renderle “vero italiano”.
Il suo senso finale si traduce in:
Smettetela di fare i grammar nazi. I grammar nazi non sono simpatici a nessuno e neppure sono utili. Non piacciono all’Accademia della Crusca, non piacciono a nessuno, e la loro utilità in una discussione è pari a quella di un nido di vespe inca**ate durante un picnic all’aperto pieno di bambini allergici. Accannate, non sapete neppure come usare i punti di sospensione in un commento Facebook e andate in giro ad insegnare l’italiano alla gente. Essù, fatela finita prima che cominciamo a ridervi dietro.
Ed ora possiamo passare ad una discussione nel dettaglio.
Abbiamo in questo caso un piccolo aiuto di un illuminato commento. Diciamo un’oasi pulita in un mare putrescente di Grammar Nazi furiosi, commentatori rabbiosi e autarchici pseudolinguisti da bar… pardon, anzi no… chiediamo venia, autarchici pseudolinguisti da mescita inclini ad educar il volgo tra una brioscia e una seduta allo sciacquone.
E parliamo del commento della sociolinguista, autrice, traduttrice e collaboratrice della Casa Editrice Zanichelli Vera Gheno.
Che vi preghiamo di tenere lontani dalle vostre bercianti esternazioni perché ci fareste molto arrabbiare, e voi non vorreste.
Che ci conferma che la questione è sempre quella.
L’Accademia della Crusca non va in giro ad attaccare bollini di autenticità o patenti di italianità alle parole.
Registra semplicemente, oltre alla grammatica ed alla lingua, anche gli usi linguistici.
Ogni sistema sociale, ogni ordinamento, ogni convenzione registra usi e costumi assieme alle regole.
Esiste un Galateo che spiega come essere considerato una persona elegante, ma ci sono usi e costumi in determinate famiglie, è normale.
Esistono comportamenti normati da leggi, ed esistono consuetudini nate dall’uso ripetuto che riempiono quei vuoti.
Ci sono azioni e ci sono mode del momento. Il mondo è bello perché in esso vi è la varietà.
E può capitare che un calco linguistico, o un prestito, o una qualsiasi altra forma di ingresso di parole straniere nell’uso comune possa (o non possa, come vedremo), portare gli ospiti a restare.
Cosa vieppiù vera quando siamo entrati nell’era Post-Moderna, con precisione nell’era dell’Informatizzazione di massa (dall’introduzione dell’Apple II, del Commodore VIC20/Commodore 64 e del Tandy TRS-80).
Da quell’era in poi la comunicazione multimediale ha cominciato sostanzialmente a introdurre concetti più velocemente della capacità di un sistema linguistico di creare autonomamente nuove parole.
Avevamo quindi in ogni casa un “coso” a forma di lettore di cassette che però accettava solo un particolare formato digitale. Potevamo chiamarlo “lettore di cassette” o accettare il termine commerciale “Datassette”, nato dalla crasi inglese di “Data” (dati) e “Cassette player” (lettore di cassette).
Alcuni scelsero di usare “datassette” altri “Lettore di nastri” e simili.
Ma per altri termini semplicemente non si poteva.
Come chiami “un oggetto che legge supporti magnetici flessibili sui quali è possibile memorizzare dati in formato non sequenziale”?
Lo chiami floppy drive il lettore, floppy disk il supporto. E definisci l’atto di memorizzare dei dati sul floppy salvare e l’atto con cui sul floppy viene impressa la struttura che rende possibile il salvataggio non sequenzale formattare, da “Format”, il “formato”.
E queste sono le parole fortunate che ce l’hanno fatta.
Altre non sono diventate così famose. Sono rimaste nel gergo. Parole che usiamo tutti i giorni, ma non nei salotti buoni.
Ad esempio una volta introdotti nelle nostre case i computer, i floppy disk, i floppy drive e tutto il necessario abbiamo cominciato a comunicare con giovanotti di altri paesi.
Abbiamo scoperto che in tutto il mondo si capisce cosa sia un noob, o “niubbo”, ovvero un pivellino che capisce poco dell’ambiente virtuale che lo circonda e per questo compie mille sfondoni.
Abbiamo imparato ad apostrofare il “niubbo” con l’abbreviazione RTFM!, ovvero “Read the Fu*king Manual”, ovvero, “Leggi quello stramaledetto manuale!!!”.
Come nei porti di mare dell’antichità parole fiamminghe prima, Inglesi poi, passavano di bocca in bocca perché in ogni porto ci trovavi un inglese o un fiammingo, come il Giapponese secentesco tendeva a chiamare gli occidentali “Belgi” o “Spagnoli” perché, beh, quelli vedeva tutti i giorni, una pletora di parole inglesi pur non entrando nei salotti buoni della lingua sono entrate nell’uso.
Tra cui “Cringe” e il suo calco “Cringiare”.
Per alcuni di questi termini si tratta di occasionalismi, legati a fenomeni temporanei che nascono e muoiono sul web; ma talvolta qualche termine riesce a emergere dalla massa di parole della rete e inizia a circolare anche all’esterno, arrivando alle orecchie di parlanti estranei sia al mondo di Internet sia a quello dei giovani. Trattandosi inoltre di un luogo, quello del web, privo di confini geografici, accade spesso che le parole che vi circolano siano forestierismi, soprattutto anglismi. È il caso di cringe (pronuncia /krindʒ/), parola inglese che, come vedremo, nasce ben prima del suo attuale rilancio in rete, ma che all’interno del web assume una particolare accezione e sconfina oltre la sua lingua d’origine arrivando fino a noi.
Cita il saggio sottoposto a peer review confermando quello che per chi di Rete ci vive è praticamente ovvio.
Alcuni foresterismi sfondano, altri vivono nella sola rete, altri saltano in quel “frazzo” (parola secondo il famoso comico e fumettista Leo Ortolani dovuta a un immaginario scienziato che dovendo dividere il conto con gli amici scoprì un’entità a metà tra il numero immaginario e l’universo parallelo che si situa tra il 6, il 7 e il resto che manca quando dividi una pizza con gli amici…) composto dal gergo giovanile di chi non è più nel “mondo della Rete” ma si esprime a rutti, scorregge e un gergo noto solo ai suoi coetanei usando stilemi e formule note solo ai suoi coetanei.
Infatti ricordiamo che secondo l’Accademia della Crusca
Il fatto che la redazione dedichi una scheda a una determinata parola in nessun modo significa che l’Accademia della Crusca ne promuove l’ingresso nel repertorio delle parole effettive dell’italiano, dal momento che questo può avvenire soltanto in modo “naturale”, sulla base delle normali dinamiche di funzionamento delle lingue.
Sapete quale è il “modo naturale” di ingresso di una parola?
Il fatto che sia usata da una fetta sempre più ampia della popolazione, superando lo “slang”, il “gergo giovanile” a tal punto da finire irreggimentata nella lingua, diffusa e ripetuta.
Sapete quale altra parola, che abbiamo citato nel primo capitolo, avrebbe potuto sparire per sempre dalla lingua Italiana ed invece è ancora qui in giro come il soprammobile “kitsch” della vecchia zia Nubile che ci ha mandato un bong dalla Giamaica e che la nonna ha deciso di esibire scambiandolo per una icona religiosa?
La parola petaloso.
Volete per caso che “cringiare” raggiunga se non la lingua l’immortalità? No?
Allora fatela finita.
Foto di gabrielle_cc da Pixabay
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