Hilda fa parte della mandria di Langhill, attiva da oltre 50 anni presso l’Università di Edimburgo, una risorsa fondamentale per la ricerca nel settore zootecnico, che rappresenta una fonte inestimabile di dati grazie al monitoraggio costante e alla raccolta sistematica di informazioni, ed è rinomata per il suo contributo nello studio della genetica bovina, della nutrizione e delle prestazioni produttive. Hilda è solo l’ultimo esemplare selezionato nell’ambito del progetto Cool Cows, che mira a ridurre l’impatto ambientale degli allevamenti senza compromettere la produttività. Per accelerare la selezione di bovini con una naturale predisposizione a produrre meno metano (CH₄), il progetto utilizza tecniche di fecondazione in vitro che si basano esclusivamente sulla variabilità genetica già presente nella popolazione bovina, senza introdurre geni esterni né intervenire direttamente sul DNA degli animali. L’obiettivo è di sviluppare linee genetiche ad alta efficienza in termini di emissioni, creando un modello replicabile di mandria a basso impatto ambientale. In questo modo, il progetto contribuisce in modo significativo alla sostenibilità del settore lattiero-caseario, dimostrando come l’innovazione tecnologica possa essere un alleato fondamentale nella lotta al cambiamento climatico.
La confusione è nata, come al solito, da titoli fuorvianti che hanno descritto Hilda come una “mucca geneticamente modificata (OGM)”. In realtà, la selezione genetica tradizionale è una pratica consolidata nell’allevamento, utilizzata per enfatizzare caratteristiche desiderabili negli animali, come una maggiore produttività o, in questo caso, minori emissioni di gas serra. Tra l’altro, allo stato attuale, le tecniche di modificazione genetica negli animali (OGM-NGT/TEA) sono ancora in una fase sperimentale, non solo a causa delle enormi difficoltà tecniche che tali interventi comportano, ma anche per via dei numerosi vincoli etici che regolano tali pratiche. Affermare quindi che “esistono bovine geneticamente modificate”, come riportato da molti articoli, non è solo fuorviante, ma anche pericoloso. La disinformazione su un tema così delicato rischia di alimentare paure ingiustificate e di ostacolare il progresso scientifico.
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