La Canzone di Marinella è una storia piena di passione per due motivi. Il primo è legato all’indiscutibile immensità artistica di Fabrizio De André; il secondo al grande lavoro filologico di Roberto Argenta, lo psicologo dell’Asl di Asti che nel 2012 fece ciò che avrebbe fatto un giornalista investigativo. Così Argenta restituì la Marinella di De André alla memoria, con tutta la sua storia straziante.
La Canzone di Marinella di Fabrizio De André esce nel 1964 come lato B del singolo Valzer Per Un Amore con l’arrangiamento di Gian Piero Riverberi. Il testo, come tutti impareranno a memoria, racconta la tragica favola d’amore di una donna come lo stesso Faber spiega a Luciano Lanza nel 1993, nel corso di un’intervista rilasciata per A/Rivista Anarchica. “Non ha altra chiave di lettura se non quella di un amore disgraziato“.
Nel 1997 a Vincenzo Mollica riferisce:
È nato da una specie di romanzo familiare applicato ad una ragazza che a 16 anni si era trovata a fare la prostituta ed era stata scaraventata nel Tanaro o nella Bormida da un delinquente. Un fatto di cronaca nera che avevo letto a quindici anni su un giornale di provincia. La storia di quella ragazza mi aveva talmente emozionato che ho cercato di reinventarle una vita e di addolcirle la morte.
A quale fatto di cronaca si riferisce Fabrizio De André?
Il 31 dicembre 2012 Carlo Francesco Conti de La Stampa intervista Roberto Argenta, psicologo dell’Asl di Asti nonché appassionato canoista. Argenta racconta che l’idea di cercare la vera storia della Marinella di De André lo raggiunge durante un colloquio con una paziente.
Se il cantautore genovese apprese del fatto di cronaca nera in adolescenza, il caso potrebbe risalire agli anni ’50. Dunque Roberto Argenta si lancia alla ricerca delle cronache di quel tempo consultando quotidiani in biblioteca e spolverando antichi documenti. Dopo mesi di ricerca febbrile, Argenta trova un nome.
De André parlò con una certa imprecisione del Tanaro e della Bormida, indeciso se collocare la tragedia in uno dei due fiumi. Roberto Argenta trova una soluzione nel fiume Olona e mette insieme i due elementi.
La Marinella di De André è Maria Boccuzzi, uccisa nella notte tra martedì 27 e mercoledì 28 gennaio 1953 e gettata nel fiume Olona ancora agonizzante.
Roberto Argenta ha riportato i risultati delle sue ricerche nel libro Storia di Marinella… Quella vera. Nata a Taurianova (Reggio Calabria) nel 1920, Maria Boccuzzi ha origini umili. I suoi famigliari sono braccianti al servizio di ricchi possidenti, dunque quando la figlia ha 9 anni decidono di trasferirsi al nord. Così i Boccuzzi arrivano a Milano.
A 14 anni Maria viene assunta alla Manifattura Tabacchi di via Moscova e lì conosce Mario, un giovane squattrinato col quale scappa di casa per trasferirsi in un sudicia soffitta della città meneghina. La loro relazione si spegne dopo appena un anno, e la giovanissima Maria Boccuzzi rimane sola e senza mezzi di sostentamento. La sua conformazione fisica, tuttavia, sembra adatta allo spettacolo e per questo tenta la strada come ballerina di varietà. Per l’occasione assume il nome d’arte di Mary Pirimpò.
Negli ambienti mondani milanesi conosce Luigi Citti, che in città è noto come ‘Jimmy’. Si tratta di un assiduo frequentatore dei locali notturni all’ombra della madunina di cui Maria diventa amante. Nella vita di Mary Pirimpò entra anche Carlo Soresi. Quest’ultimo verrà indicato dalle cronache come un tizio poco raccomandabile, un “protettore“. La carriera nello spettacolo di Mary Pirimpò non decolla. Purtroppo.
Per lei si aprono le porte del mondo della prostituzione. In un primo momento si trasferisce in una casa di tolleranza del quartiere San Salvario, a Torino. Poi passa a Firenze e infine torna a Milano. Città, queste, che oggi immaginiamo come le stazioni di una Via Crucis che terminerà nelle acque gelide del fiume Olona, a pochi passi dalla casa di Maria Boccuzzi.
La sera del 27 gennaio 1953 fa molto freddo. Luigi Citti, che ora è proprietario dell’Arethusa (oggi Venus Night Club), esce dal club e fa una passeggiata insieme a Maria Boccuzzi. Lui è stanco, quindi si congeda dalla compagna e rincasa. Per Maria è ancora orario di lavoro, quindi si incammina verso Porta Venezia insieme alla “collega” Wanduccia.
Le due si separano. Secondo la testimonianza di Wanduccia, riportata da La Stampa dell’epoca, “la Boccuzzi si accompagnò all’occasionale amico di cui andava probabilmente in cerca”. L’indomani mattina, il 28 gennaio, Mary Pirimpò viene trovata cadavere lungo la via Renato Serra, nel fiume Olona. Il suo corpo, su schiena e torace, è forato da almeno sei proiettili calibro 6.35. A rinvenire casualmente il corpo sono dei giovani i quali, spaventati, attirano l’attenzione di alcuni operai “che lavoravano da sterratori sul greto del fiume” e lo riportano in superficie per poi chiamare la polizia.
Quando è stata gettata nelle acque gelide del canale, Maria era ancora viva. Lo diranno i periti.
Tra gli effetti personali mancano i documenti, ma un funzionario della squadra mobile scopre che “l’intestataria era stata arrestata nel 1949 insieme ad altre peripatetiche nel corso di una retata eseguita dalla squadra del buon costume in una via del centro e dopo alcuni giorni era stata rilasciata”. Lo attestano le impronte digitali messe a confronto con l’archivio delle persone schedate.
Prima di svanire nel nulla Maria Boccuzzi era “vestita con qualche ricercatezza”, ovvero “aveva al collo un catenina d’oro con ciondolo, un braccialetto pure d’oro con alcune monete e nella borsetta qualche migliaio di lire“, ma “non le è stato trovato indosso più nulla di tutto ciò”. Chi ha ucciso Maria Boccuzzi? Chi ha voluto la morte di Mary Pirimpò? E perché?
Le indagini si muovo in tutte le direzioni, concentrandosi specialmente sugli ambienti malavitosi e sull’universo dei clienti delle “peripatetiche”. Improvvisamente, la svolta.
Un metronotte di nome Angelo Tadini riferisce alla squadra mobile che alle 4:45 del 28 gennaio, mentre “stava compiendo un giro di pattugliamento”, ha visto “un’automobile Fiat 1100 nera” sfrecciare “all’angolo di via Serra con via Traiano”. All’interno di quest’auto “una donna gridava disperatamente“. Poco dopo “l’automobile scomparve inghiottita dalle tenebre e dalla nebbia”. Tadini ha assistito agli ultimi istanti di vita di Maria Boccuzzi? Nel frattempo Luigi Citti e Carlo Soresi vengono trattenuti in questura.
Contestualmente Wanduccia, l’ultima ad aver trascorso del tempo con Maria Boccuzzi, si presenta all’obitorio e conferma l’identità di quel cadavere. Maria Boccuzzi è stata uccisa in piena notte e gettata nel fiume, come se fosse un rifiuto. Viene fuori che Soresi, pochi giorni prima della tragedia, ha acquistato un’auto nera. Un indizio che stringe il cerchio, avvicinando Carlone all’ignoto responsabile dell’omicidio. L’indizio a suo carico decade subito: il metronotte Tadini ha parlato di un’auto con guida a sinistra, mentre il mezzo di Carlone ha la guida a destra.
Il tempo passa e la morte di Mary Pirimpò non ha ancora un colpevole. Negli uffici della squadra mobile, intanto, si alternano personalità di ogni tipo e legame. Tra questi, diversi conoscenti rivelano che “la giovane era stanca della disordinata vita che conduceva“ e per questo aveva messo da parte circa un milione di lire in un libretto che custodiva gelosamente nella sua stanza all’interno della pensione di proprietà del “fidanzato”, Luigi Citti. Dopo l’omicidio, di questo libretto non si trova traccia.
Gli indizi a carico di Citti e Soresi crollano e la morte di Maria Boccuzzi, quindi, resta senza un colpevole.
Come già detto, Fabrizio De André non ha mai fornito indizi precisi per indicare quale fosse il fatto di cronaca nera che ispirò il testo de La Canzone di Marinella. I risultati della ricerca di Roberto Argenta, tuttavia, godono di tante coincidenze: Maria Boccuzzi era giovane, sognava per sé un futuro migliore ma visse “un amore disgraziato”, fu uccisa e gettata in un fiume dentro il quale “chissà come, scivolavi”.
La storia straziante di Mary Pirimpò è quella di un femminicidio per il quale, scrive Olga Merli sul portale Cronaca Nera, si scomodò anche l’Interpol. Senza risultati, a quanto pare.
La notizia della morte di Maria Boccuzzi fu riportata ai famigliari solamente il 30 gennaio 1953. Due giorni dopo la morte della poveretta. I genitori lavoravano nella portineria di un condominio di via San Marco 28. In quel giorno, il padre era ricoverato all’ospedale Maggiore e sul posto di lavoro c’era solo la madre. Rosa Barreca. Da undici anni in famiglia nessuno pronunciava il nome di Maria. Undici anni, da quando la giovane si era allontanata per costruirsi un futuro. Scrissero i giornali:
Maria era fuggita dalla sua casa, aveva intrapresa una cattiva strada, aveva disonorato il loro nome, il suo quindi doveva essere cancellato per sempre anche dal novero dei ricordi. La madre non ha gridato, non si è disperata, ma dai suoi occhi neri e profondi sono scese due lacrime cocenti; poi è andata nella camera a letto, ha messa la fotografia di Maria accanto a quella di Gaetano, il figlio maggiore finito tragicamente anche lui otto anni fa dilaniato dalla esplosione di una cassetta di bombe a mano, ha acceso un altro lumino ed ha mormorato: “Signore, siamo buona gente onesta, noi non le abbiamo certo dato il cattivo esempio, si è fatto tutto il possibile. Nessuna colpa ci devi fare. Siamo buona gente, Signore. Abbi pietà di noi!”.
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