“La torta di mele è razzista” è quel genere di polemica costruita ad arte dal solito singolo.
La ricetta è sempre la stessa. E l’abbiamo vista proprio per la mela e il bacio di Biancaneve.
Prendi un (1) attivista, che “casualmente” sta scrivendo dei libri e documentari su come la storia del colonialismo e il cibo siano collegate (ovviamente, ogni fenomeno umano è collegato all’altro, va detto).
Prendi un (1) articolo di giornale del Guardian, in cui il suddetto attivista e ricercatore pubblicizza la sua teoria “decostruendo” la ricetta dell’Apple Pie, la tradizionale torta di mele americana.
Mescola bene con un po’ di dibattito sulla “Cancel Culture” e servi bello caldo, anzi bollente come una flame, alle persone orfane della polemica del giorno.
Con una spolverata inevitabile di articoli che riprendono e amplificano ogni flame derivata
Otterrai pubblicità gratuita e eserciti contrapposti di persone che si scannano come se le esternazioni di un singolo fossero una vera e propria battaglia non solo culturale, ma proprio fisica e viscerale tra due eserciti contrapposti pronti a dare la vita per cancellare dal mondo la Torta di Mele o difendere la Torta di Mele dal Male Assoluto.
Peraltro l’articolo di cui si parla è di maggio. Ha solo avuto bisogno di quel mesetto per fermentare, e probabilmente tenere calda a temperatura da scaldavivande l’attenzione su libri e documentari.
La teoria, invero un po’ tirata per i capelli, se ci viene permesso, è che la Torta di Mele Americana, il piatto sicuramente più Americano dell’America stessa, simbolo culturale e di scanzonata giovinezza, contiene elementi che “richiamano il razzismo”.
Le mele colte dagli alberi piantati da “Giovannino Seme di Mela” che, con un po’ di “stiracchiamento” diventano alberi piantati nei terreni sottratti ai nativi, lo zucchero raccolto dagli schiavi, lo zenzero del Commonwealth Inglese, i latifondisti e i capitalisti…
Cibo per il pensiero potremmo dire, ma presentato come il bollente piatto della flame.
E ancora una volta, ci siamo caduti. Con tutte le scarpe.
È letteralmente, una sorta di circolo non virtuoso, ma morboso, che trasforma l’energia della flame nel generatore del moto illimitato.
Una volta che un redattore/articolista/scrittore pianta il “pitch”, il “gancio” per le sue future pubblicazioni, qualcuno rimane all’amo.
Questo qualcuno genera indignazione social di gente che invoca la “Cancel Culture che vuole distruggere le cose belle”.
L’indignazione social viene ripresa da altri giornali, diventando notizia essa stessa.
Gli eserciti contrapposti si gonfiano: il ricordo ci chi ha sparato il primo colpo cessa. Ora siamo nella Guerra Mondiale della Torta di Mele, trascinandoci elmetto in testa e baionetta innestata sul fucile tra pasta sfoglia e mele, tra zenzero e uovo.
E non sappiamo con che armi combatteremo la Guerra Mondiale delle Torte di Mele, ma la prossima probabilmente sarà per il Brisket, per quanto ne sappiamo…
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