La storia dei palazzi dell’INPS venduti e riaffittati
C’era una volta una storia dei palazzi dell’INPS venduti e riaffittati, tornata in TV mediante Fuori dal Coro, ma nata da una indagine di Sergio Rizzo per l’Espresso.
Cominciate a leggerla se potete, poi tornate. La vicenda nasce da lontano, ed è una storia di buone intenzioni ma esiti oseremmo dire meno. Meno buoni.
Siamo nel 2004, e il FIP, Fondo Immobili Pubblici viene promosso per la valorizzazione di diverse proprietà degli enti pubblici. La questione è semplice: lo Stato dispone di diverse proprietà che spesso non usa. L’intenzione era affidarle a un fondo perché esse fossero rivendute, i soldi incamerati, tutto bene.
Una serie di condizioni vantaggiose rendevano tali vendite eccellenti per lo Stato e per gli acquirenti. Almeno così in teoria. La pratica tende ad essere diversa.
La storia dei palazzi dell’INPS venduti e riaffittati
Succede ad esempio che non puoi lottare contro le leggi dell’entropia e dello spaziotempo. Puoi vendere un locale, ma se non hai un locale dove trasferirti in tempi brevi?
Quante volte capita di vendere un immobile ma riservandosi un tempo “lungo” per poter traslocare? E se traslocare non è possibile?
Riferisce Rizzo come l’INPS si è ritrovata a vendere un pregiato immobile a Bari, sede provinciale. Un gran guadagno nell’immediato, limitato dal fatto che l’INPS non ha potuto lasciare l’immobile in Via Nazario Sauro. Ma l’acquirente di certo non poteva lasciare gratis un inquilino, sia pur così importante.
Lo Stato ha dovuto quindi sostenere come da contratto tutte le spese di manutenzione straordinaria, dagli infissi al condizionamento, oltre un affitto di quasi un milione di euro l’anno, per poi ricomprare il tutto dopo diciotto anni. Il giornalista riporta come il riacquisto della sede di Ferrara dalla Finalca srl per 10 milioni 590 mila o della sede di Pesaro, per altri 8 milioni 300 mila dimostrano che non si tratta solo di casi isolati.
«C’è solo un aspetto positivo», dice un alto dirigente di uno degli enti previdenziali. «È che ora almeno possiamo scegliere».
La differenza è che una “vendita con locazione” o altre forme simili consentono sempre di non riscattare alcuni beni. Cosa che nell’età della dematerializzazione e dello smartworking potrebbe essere una scappatoia che consentirà all’INPS e altri enti di non ricomprare tutto, e chiudere filiali non più utili.
Magra consolazione: come si è visto il danno c’è.
Danno causato da una serie di fattori. Che elencheremo in parte, non tutti. Ripetiamo, l’articolo dell’Espresso va apprezzato e letto.
Alcuni fattori di cui tenere conto
La cartolarizzazione degli appartamenti degli enti previdenziali in fondo è una cosa semplice. L’inquilino acquista a prezzi di favore, un mutuo lo rende da affittuario acquirente, e in fondo per lui non cambia molto.
Ma gli immobili strumentali? La valutazione degli uffici spesso denuncia il giornalista tende al ribasso: il commercio è commercio. Verifiche rapide comportano l’accumulo di inevitabili errori, e la fretta è cattiva consigliera.
Fretta di vendere, fretta di far cassa, fretta di rimediare al fatto che se vendi un immobile destinato ad uffici, ma non hai alternative, dovrai restare lì. In affitto. Con le manutenzioni straordinarie sono a carico del conduttore, con esenzione dal pagamento dell’Ici. E alla scadenza dei 18 anni, se l’ente pubblico affittuario non ricomprerà il palazzo ma vorrà andarsene, dovrà lasciare i locali in perfetto stato o pagare un indennizzo corrispondente.
Affitti cui il blocco degli adeguamenti ISTAT sotto Monti non si applica.
Arriviamo quindi alla situazione attuale e alla denuncia del giornalista: un monito dal passato per il futuro.
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