La sonda Voyager 1 riprende a funzionare: ci sono voluti cinque mesi
La sonda Voyager 1 riprende a funzionare: e pensate, ci sono voluti solo cinque mesi. Un tempo che potrebbe mettere fuori mercato qualsiasi tecnico IT: immaginate chiamare il tecnico per un PC aziendale e sentirvi dire che lo stesso non sarà sistemato prima di quasi un semestre.
Ma parliamo di sistema informatico messo in funzione nel 1977, che viaggia a più di 24 miliardi di chilometri dalla Terra.
Non esattamente un posto dove mandare un tecnico armato di valigette e ricambi. Ammesso che se ne trovino ancora.
La sonda Voyager 1 riprende a funzionare: ci sono voluti cinque mesi
Già a Ottobre 2023 Voyager 1 e 2 erano state oggetto di una serie di “patch” conservative al programma originale: la nuova release del sistema operativo serviva per prolungare la vita dei propulsori, ritardandone l’accensione per farli durare più a lungo (ancorché con manovre leggermente meno precise) e secondo problema già apparso in Voyager 1, laddove il computer che si occupava del controllo d’assetto scriveva i comandi in memoria anziché eseguirli, portando così a continuare a funzionare regolarmente dopo la risoluzione del problema, ma generando dati di telemetria corrotti e illeggibili.
Il problema dei dati di telemetria di Voyager 1 è poi esploso a dicembre: ogni tentativo di ricevere dati dall’FDS, il Flight Data System, il computer a 18 bit responsabile per l’incombente, risultava ormai inefficace.
La sonda inviava solo dati corrotti e illeggibili, pari ad una versione distorta dell’intero contenuto della memoria della stessa.
La diagnosi è durata fino ai primi di Aprile 2024, il mese corrente quindi, fornendo una diagnosi rivelatasi efficace. Un singolo chip di memoria RAM di tipo CMOS, responsabile di stivare il pacchetto dati che viene inviato a Terra dalla Telemetry Modulation Unit (TMU) aveva semplicemente smesso di funzionare.
Non è chiaro se per l’età o per le sollecitazioni dovute a radiazioni cosmiche: con un chip di memoria malfunzionante, il 3% della memoria di Telemetria era diventato corrotto e illeggibile e tale veniva trasmesso.
La soluzione proposta? Un nuovo aggiornamento per far funzionare Voyager 1 in modalità “degradata”, usando quindi solo il 97% della RAM rimasta fino a fine missione. Ovviamente, l’unica soluzione corretta a parte mandare un “tecnico marziano” a cambiare il chip.
La soluzione funzionante: e come
Il primo marzo è stato dunque mandato un pacchetto dati, un “poke” per cercare di individuare la sezione di memoria interessata dal chip corrotto.
Tenendo presente che ogni comando ci mette circa 22,5 ore per arrivare al FDS ed ogni comunicazione di rientro lo stesso tempo per arrivare sulla Terra, è stato un miracolo se sia riuscito a identificare il chip interessato.
Si è deciso quindi di “spostare” il software del FDS in altre sezioni della memoria unitamente ai dati, cosa che ha richiesto frammentare il codice in modo che potesse essere stivato nelle diverse sezioni di memoria non più contigue intervallate dal chip danneggiato e lasciare dello spazio per i dati di telemetria da ritrasmettere.
Di tentativo in tentativo il risultato: nove giorni fa è arrivata la prima trasmissione leggibile.
Voyager 1 continua a funzionare: meno precisa nei reattori, con un pezzetto di memoria in meno, ma potrà finire la sua missione, o quantomeno trasmettere finché sarà troppo lontana per rimandare dati a casa.
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