In questi giorni avrete sentito parlare della “sentenza Report”. Ci avete anche chiesto di provare a dire la nostra, che in certi casi non è una soluzione binaria.
Sostanzialmente non potete sempre venire a chiederci “se qualcosa è buffala? Non buffala? boooooo!” aspettandovi di avere una soluzione binaria. Fatta di uno e zero, vero e falso, bianco e nero. La verità sta nel mezzo, e il diritto se non una “scienza esatta” è una scienza complicata dove niente accade per caso.
Andiamo quindi per ordine.
A ottobre 2020 Report aveva mandato in onda un servizio intitolato “Vassalli, valvassori e valvassini” che indagava sugli appalti pubblici in Lombardia e tra le altre cose citava alcune consulenze date all’avvocato Andrea Mascetti, considerato vicino alla lega.
L’avvocato Mascetti ha provveduto a presentare accesso agli atti, per ottenere la documentazione relativa al servizio. Ratio evidente e, in senso legale e tecnico, anche condivisibile. Se io, cittadino, ritengo di dover tutelare il mio interesse, mi sento diffamato, è mio diritto difendermi.
Per farlo devo avere diritto ad esercitare la più compiuta difesa possibile, avvenga questo nel civile, nel penale, nell’amministrativo o in ogni branca del reale.
Ma il diritto non è un sistema binario, è un insieme di valori concorrenti. Una eterna partita a “Carta, Forbice, Sasso” con un numero crescente di “segni” che si pareggiano e si confrontano a vicenda.
Da un lato, l’Avvocato Mascetti ha ritenuto di chiedere con atto amministrativo l’accesso agli atti.
L’accesso agli atti è infatti un istituto di diritto amministrativo, disciplinato dalla Legge 241/90 che consente “di richiedere documenti, dati e informazioni detenuti da una Pubblica Amministrazione riguardanti attività di pubblico interesse, purché il soggetto richiedente abbia un interesse diretto, concreto e attuale rispetto al documento stesso.”.
Vi è inoltre il D.Lgs. 33/2013, adito in via gradata (“alternativa) dal legale, che dichiara che “chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione ai sensi del presente decreto, nel rispetto dei limiti relativi alla tutela di interessi giuridicamente rilevanti secondo quanto previsto dall’articolo 5-bis”
Il senso della richiesta, dal lato del ricorrente è chiaro: il ricorrente, intendendo agire in giudizio contro Report, voleva essere messo in grado di predisporre difesa.
La risposta della RAI (non costituiti in giudizio Mottola e Ranucci, giornalisti di Report) oppone al diritto di trasparenza e accesso agli atti il diritto di segretezza delle fonti e della libertà giornalistica.
La documentazione posta alla base della puntata non doveva quindi essere considerata una semplice raccolta di documenti da acquisire e usare in tribunale, ma una vera e propria collezione di fonti giornalistiche sottoposte quindi a segreto professionale ex art. 2, comma 3, L. n. 69/1963, connesso alla libertà di stampa.
Nonché, naturalmente, che non sussistevano i requisiti per l’accesso agli atti.
Che il ricorrente avrebbe potuto ottenere idonea giustizia principando un procedimento anche senza quei documenti, basandosi solamente sull’analisi del filmato già andato in onda.
E che per “fonte” giornalistica non va inteso solamente chi ha espresso il fatto, ma “ogni realtà in grado di documentarne l’accadimento in modo quanto più diretto possibile”, quindi anche la documentazione prodotta dalla fonte.
La “Sentenza Report” si basa sul concetto di “soccombenza parziale”. Prova di quanto dicevamo prima. Ci sono casi in cui il Tribuale Adito, in questo caso il TAR, riconosce che nessuno ha del tutto ragione, e nessuno ha del tutto torto.
Accoglie quindi la richiesta in parte, ovvero nella parte che ritiene utile, bilanciando i valori contrapposti.
La “sentenza Report” sostanzialmente concede ragione e torto un po’ a tutti.
Dà ragione alla RAI dichiarando che non è soggetta al D.Lgs. 33/2013, ma anche al Ranucci dichiarando che la Legge 241/90 è sì applicabile. E ricordiamo che le aveva chieste in via “gradata”, ovvero “se non è una, è l’altra”.
Dà però torto alla RAI dimostrando che ogni indagine sulla utilità degli atti ottenuti non può essere fatta in via “anticipata”, ma “la valutazione in ordine al legame tra finalità dichiarata e documento richiesto – quale presupposto di ammissibilità della pretesa ostensiva – va effettuata in astratto, senza apprezzamenti sull’eventuale infondatezza o inammissibilità della domanda giudiziale che il richiedente, una volta conosciuti gli atti in questione, potrebbe proporre”.
Sostanzialmente, il ricorrente presuppone che quegli atti potranno aiutarlo nella sua difesa. Semplicemente, una volta ottenuti, potrà studiarli e capire se sono utili o meno.
Ricordando comunque che la valutazione degli elementi probatori avviene in un momento successivo alla loro acquisizione: nessuno può dilettarsi in esercizi di preveggenza, sostanzialmente.
La soluzione è salomonica: riporta la sentenza del TAR Lazio, Sezione Terza, N. 07333/2021 REG.PROV.COLL., N. 00198/2021 REG.RIC.
l’accesso dovrà essere consentito unicamente agli atti effettivamente formati e detenuti dalla RAI, essendo ontologicamente impossibile che esso sia effettuato rispetto ad atti non documentati; pertanto, nel caso e nella misura in cui taluni degli atti di cui alla superiore lettera a) non siano stati oggetto di documentazione, RAI dovrà fare menzione di tale circostanza; ciò alla luce della condivisibile regola per cui l’Amministrazione può e deve consentire l’accesso unicamente a documenti già esistenti e che siano in suo possesso, in quanto, alla luce del principio ad impossibilia nemo tenetur, anche nei procedimenti di accesso ai documenti amministrativi l’esercizio del relativo diritto o l’ordine di esibizione può riguardare solo i documenti esistenti e non anche quelli non più esistenti o mai formati (cfr. Cons. St., sez. V, sent. 19 febbraio 2018, n. 1033); e spetta all’Amministrazione destinataria dell’accesso indicare, sotto la propria responsabilità, quali sono gli atti inesistenti che non è in grado di esibire (TAR Lazio, sez. III bis, sent. 2 novembre 2018, n. 10553).
Quindi solamente per gli atti formati e detenuti dalla RAI, e con l’esclusione dell’identità delle fonti, che comunque il ricorrente ricordiamo non aveva chiesto.
Replica l’emittente televisiva
«Il pronunciamento dei giudici del TAR del Lazio – che ha disposto l’acquisizione delle testimonianze e dei dati delle fonti di un recente servizio di Report – costituisce un precedente gravissimo e un attacco all’indipendenza e all’autonomia dell’informazione. Rai Tre rinnova la sua assoluta fiducia a Sigfrido Ranucci e alla sua squadra, ribadendo che si batterà in ogni sede perché venga tutelato il diritto alla riservatezza delle fonti, caposaldo del giornalismo di inchiesta».
Spostando quindi il dibattito in sede di gravame.
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