Editoriale

La Pussy Riot Maria Aljokhina fugge dalla Russia: rocambolesca fuga dell’attivista

La Pussy Riot Maria Aljokhina fugge dalla Russia. Parliamo di una cantante punk, un’attivista, ed ora anche una fuggitiva. Con un’evasione da far impallidire l’astuzia di Casanova ai Piombi o i protagonisti di mille storie.

Anche in questa storia abbiamo un regime oppressivo ed un’attivista. Fondatrice (insieme a Nadežda Tolokonnikova) dell’organizzazione per la tutela dei diritti dei prigionieri Zona Prava e dei media di Internet Mediazona, è ex membro del gruppo Vojna. Attiva per i diritti umani, spina nel fianco del Putinismo.

Le disavventure di Maria Aljokhina

Le sue disavventure giudiziarie e nel mondo dei “nemici del Putinismo” cominciarono nel 2012, quando inscenò una pubblica preghiera per chiedere alla Madonna e al Cristo Salvatore di liberare la Russia da Putin.

Fu condannata a due anni di prigione per “teppismo a sfondo religioso”, in quella Russia dove politica e religione si fondono così intimamente da giustificare talk show in cui si dichiara che il cittadino russo dovrebbe essere orgoglioso di morire ardendo vivo nel fuoco di una guerra nucleare, perché se avrà dato la vita per la patria egli andrà in Paradiso al contrario dei cittadini delle altre nazioni.

Tale gesto le diede la solidarietà del mondo dell’attivismo e della cultura, e fu l’inizio della sua lotta contro le norme repressive del Cremlino. Tra cui il contrasto all’omosessualità, altro cavallo di battaglia riapparso in questo conflitto. Conflitto dove, ricordiamo, ai cittadini russi viene spiegato nel dettaglio che gli Ucraini sono dei nazisti gay ebraici pronti a spargere l’omossessualità tra i giovani Russi, infiacchendoli in nome della NATO mediante privazione della virilità.

Questo, in un mondo dove il più recente reality comprende individuare e scacciare l’effeminato “omosessuale” in una casa di virili e muscolosi araldi della mascolinità post-Sovietica.

Tutto questo non poteva passare impunito: da allora l’intera vita di Aljokhina è punteggiata da procedimenti penali, irrogati con ogni pretesto, per mantenerla in un limbo kafkiano di prigionia e controllatissimi arresti domiciliari. Letteralmente, una vita in gabbia.

Un assist è stato dato dalle norme di contrasto alla Pandemia: ironico, secondo la volgata dei Pro-Putin/novax riuniti che invocano la Russia come un paragone di libertà contro la “dittatura sanitaria” Italiana.

L’affare Sanitario

Infatti non solo le norme di contrasto alla Pandemia sono più stringenti nel Cremlino, ma lo sono in modo da consentire il loro uso pretestuoso, creando così il cosiddetto “affare sanitario”.

Ovvero quando dieci oppositori dopo le proteste di inizio 2021 seguite all’incarcerazione di Aleksej Navalny furono condannati per una applicazione di tali norme.

Nonostante infatti la propaganda del Cremlino avesse dichiarato all’epoca COVID19 sconfitto, le norme di contrasto alla Pandemia venivano spesso, e vengono, usate per “isolare” i dissidenti.

La pena infatti è una sorta di condanna ai domiciliari “mitigata”, che però rende impossibile ogni forma di attivismo politico e azione pubblica.

La Pussy Riot Maria Aljokhina fugge dalla Russia: rocambolesca fuga dell’attivista

Quindi il tempo passa e le condanne si sono accumulate. Specialmente in tempi di guerra dove semplicemente chiamare guerra la guerra comporta gravissime condanne non era più sicuro per l’attivista restare in Russia.

Grazie all’artista islandese Ragnar Kjartansson ha ottenuto un lasciapassare europeo.

Sorvegliata nell’abitazione di una amica nella quale era andata a vivere, è poi fuggita in Bielorussia vestita da Rider per evitare i controlli delle autorità Russe.

L’operazione ha funzionato, ed è rimasta nascosta per settimane in Bielorussia aspettando il momento di poter varcare il confine.

“Sono contenta di avercela fatta, perché abbiamo imprevedibilmente detto vaffanculo alle autorità russe. Ancora non mi rendo completamente conto di quello che ho fatto”, ha dichiarato, ricongiungendosi con la compagna.

Anche lei fuggita col medesimo stratagemma dopo che la casa che condivideva con la Aljokhina era stata vandalizzata con scritte che le denunciavano come traditrici, facendo temere per la vita di entrambi.

I costumi da Rider, e gli stivali senza lacci usati nella fuga e che richiamano gli stivali che i carcerati russi sono costretti a indossare per evitare tentativi di suicidio, faranno parte di uno spettacolo per raccogliere fondi e consapevolezza di quello che succede in Ucraina.

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