La foto dei bambini abbracciati sotto le bombe e la proliferazione delle AI
Ammettiamolo: la scusa di “ma io uso l’Intelligenza Artificiale per mostrare le cose vere perché sennò nessuno mi darebbe retta” non regge. Non ha mai retto e non regge. Creare una foto di “bambini abbracciati sotto le bombe“, e crearla male non amplifica il messaggio, lo sminuisce.
Ci sono fiumi di opere d’arte, di parole, di testimonianze vere ed autentiche, e piazzare una foto coi tipici tratti dell’AI svilisce l’intero messaggio.
La foto dei bambini abbracciati sotto le bombe e la proliferazione delle AI
Abbiamo già visto testimonianze “in AI” che esprimono più un desiderio di viralizzare che un desiderio di raccontare, e anche questa ha i tipici caratteri distintivi dell’AI.
Le AI disegnano sì, ma imitando, raccolgono da una serie di foto e immagini già presenti nel loro database il concetto generale di come debba essere fatto un essere umano e lo riassemblano cercando di creare un essere umano originale.
In questo caso arrivando a mani enormi, deformi ed elefantiache, magliette tubolari ed una improbabile “Kefiahetta” che si fonde con una sciarpa ed una bandiera perché, come spiegato, di mani, accessori e visi le referenze mancano.
È come insegnare ad uno studente d’arte abbastanza svogliato a riprodurre la figura umana intera dandogli una serie di cartoline con la figura intera, senza tutti i dettagli che gli servirebbero per imparare.
Il risultato? Forse dovremmo imparare a guardare la realtà così come è, anziché addomesticarla con tocchi di AI.
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