La differenza tra ARR e RRR e la confusione sulla medicina del pubblico
La differenza tra ARR e RRR è uno di quei temi che dimostra una grande verità della divulgazione scientifica.
Ovvero che un medico, un ricercatore, un divulgatore è direttamente responsabile di quello che dice, non quello che volete vi dica o che avete capito del suo discorso.
Sentire parlare delle “statistiche sul rischio relativo e sul rischio assoluto alla luce dei vaccini” non significa che i dati sull’efficacia dei vaccini sono falsificati.
E nessuno ha inteso mai uno di quegli indici in questo senso.
Significa avere un indice che consente, in un mercato in cui speriamo di avere più vaccini, di valutare quale offerta un sistema sanitario potrebbe dare. O come creare modelli statistici inutili per il profano ma utili per l’addetto ai lavori.
Ma andiamo con ordine
La differenza tra ARR e RRR
Le statistiche sulla riduzione del rischio partono da una premessa fondamentale: in natura non esiste né il rischio zero, né la “santa panacea” che cura al 100% da ogni male.
La medicina, anche profilattica, è una attività umana, che può asintoticamente avvicinarsi alla cura o alla prevenzione assoluta, ma mai toccarla.
La riduzione assoluta del rischio è semplicemente il rischio del verificarsi dell’evento indesiderato nella popolazione sottoposta a profilassi o terapia sottratto il rischio dell’evento indesiderato nella popolazione non trattata.
La Riduzione di Rischio Relativo esamina il rischio di sviluppare l’evento avverso, in questo caso la malattia, relativamente al gruppo non trattato. In questo caso non vaccinato. Come ci ricorda la fonte citata è un indice per sua natura meno immediato e chiaro al profano, ma utile al perito ed allo statistico per esaminare il valore del trattamento rispetto alla sua assenza.
Si parla di una frazione: Rischio assoluto relativamente al rischio naturale.
All’atto pratico?
Dire ad esempio che il vaccino Pfizer ha un RRR tra il 0,879 e 0,925 significa di fatto che il rischio di sviluppare la Covid-19 con sintomi senza vaccinazione, il 0,925%, viene ridotto del 95%, e arriva a 0,046% grazie alla somministrazione del vaccino.
Dato che conferma quello che sappiamo e ci è stato detto dalle fonti ufficiali, ma in un modo maggiormente preciso e di accuratezza superiore.
Non è che il dato basato sulla mera riduzione del rischio, quello conosciuto dai giornali, sia mendace, ma impreciso.
Usando ARR ed RRR un buon statistico potrà ad esempio studiare con maggiore efficacia del vaccino anche nelle coorti inizialmente non previste dalla sperimentazione da cui abbiamo tratto il brutale ARR (i minori, la cui sperimentazione è partita solo ultimamente) e passare da un’astrazione statistica ad un modello sempre più aderente alla realtà dinamica.
Realtà che abbiamo già avuto modo di vedere sta dimostrando sul campo l’efficacia di una buona campagna vaccinale.
Con le parole di Nate Silver, citate per il Corriere
Nate Silver, statistico e divulgatore, ha detto «I numeri non parlano da soli, siamo noi a riempirli di significato». E durante una crisi è facile che vengano usati da chiunque per supportare le proprie tesi e a proprio vantaggi. Nel dibattito «Vaccino sì, vaccino no», anche i risultati sopra raccontati sono stati usati per sminuire l’efficacia del vaccino (confrontandola con la riduzione assoluta del rischio) o per dimostrare che l’immunità naturale, acquisita dopo aver contratto il virus, riducesse la probabilità di re-infezione rispetto al vaccino (confrontando popolazioni non propriamente confrontabili). È fondamentale la divisione tra chi comunica i dati, interpretandoli minuziosamente e onestamente, e chi li usa per argomentare cosa pensa che vada o non vada fatto.
Non possiamo che suggerire un uso corretto dei dati.
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