Ci risiamo: la dieta dimagrante del numero dei pretesi gasati nel lager di Chelmno è l’ennesimo meme negazionista che dimostra quanto già sappiamo.
Uno: il meme è un linguaggio a noi assai inviso, erede delle riviste propagandistiche dell’epoca, brandito come un maglio per ogni genere di propaganda e diffusione di bufale. Due: citando numeri a caso, tutto può essere artefatto e ridotto in crudele beffa.
Infatti, solita storia, solito meme. Abbiamo da un lato la caricatura umana col nasone adunco, tipica di una certa iconografia con numeri che, vedremo sono dati puramente a caso. O meglio, privi di ogni contesto logico.
Il tutto, con una foto sulla quale solo noi abbiamo apposto una pietosa censura, che si prende beffa di soggetti riuniti in preghiera al Muro del Pianto irridendo così le loro lacrime.
Il tutto, tipico del negazionismo che più volte abbiamo affrontato.
Attenzione: qui stiamo discutendo nel campo della pura logica. Logica Randiana: A deve essere obbligatoriamente uguale ad A.
Non a B, non a C. Per i meno “studiati” possiamo dirla così: come diceva la vostra maestra delle elementari, nessuno può paragonare le pere con le mele.
Ma questo meme fa esattamente questo: paragona le pere con le mele. O meglio, paragona una singola mela con un intero frutteto pieno di pere pronte per la vendita.
Infatti la “Commissione centrale polacca” citata non si riferisce al campo di sterminio di Chelmno ma, cosa nota a chiunque abbia mai studiato anche solo a livello di base l’Olocausto, al numero complessivo delle vittime ebree nella Polonia invasa post-Operazione Barbarossa, una stima per difetto delle vittime morte durante l’Olocausto.
Stima per difetto dicevamo, il che ci porta ai due numeri successivi
Sapete perché dell’Olocausto abbiamo solo stime di massima e faticosi tentativi di ricostruire la verità oggetto di costante e faticosa revisione?
Per una semplicissima ragione: come tutti i criminali che un giorno si trovano la polizia in casa, i Nazisti erano abilissimi nel distruggere metodicamente ogni prova, registro e documento della loro titanica macchina burocratica di morte.
Passando dall’immagine del Nazista burocrate che uccide senza rimorso annotando fedelmente ogni vita spezzata sottoforma di numero per la gloria del Führer alla grottesca immagine dello spaccino che butta chili di merce illegale nello scarico e tira più volte sperando che la pula non gli faccia troppo male.
Come riporta Patrick Montague, quando le forze di liberazione arrivarono a Chelmno, tutti i documenti in possesso del Sonderkommando erano già stati distrutti, portando così l’Armata Rossa in prima battuta, gli inquirenti in seconda, a provare ogni mezzo per ricostruire in modo almeno parziale un elenco delle vittime.
Esattamente: i moderni negazionisti accusano e deridono il popolo Ebreo per il fatto di essere costretti a ricostruire documenti che i nazisti hanno distrutto.
Come se se l’avvocato difensore dello spacciatore citato nell’esempio decidesse di lanciarsi in meme, insulti e derisione del Pubblico Ministero perché non è riuscito a pesare tutta la droga che il suo cliente ha gettato nello scarico piangendo ed urlando sperando di non essere beccato con le mani nella pasta. Letteralmente.
Torniamo ora a noi: come riporta il Montague, Bednarz aveva in mano i seguenti elementi
Bednarz aveva effettivamente, e qui va ammesso per correttezza storica, compiuto un errore.
Infatti essendo una stima puramente matematica, Bednarz poteva usare solo gli elementi a sua conoscenza, secondo il principio noto ad ogni studente di giurisprudenza per cui un giudice non può che emettere sentenza “ora per allora”. Ovvero giudicando elementi passati con tutti gli elementi a sua disposizione nel presente.
Gli elementi che sarebbero giunti solamente dopo, e furono usati effettivamente per punire le vittime del Sonderkommando di Chelmno, i “gasatori” (rendendo quindi la sentenza moralmente e giuridicamente ineccepibile) introdussero un ulteriore serie di elementi correttivi.
Tra Settembre 1942 ed Aprile 1943 il numero di trasporti a Chelmno era infatti stato ridotto, e la popolazione locale, di selezione in selezione continuava a ridursi.
Questo portò una correzione della stima di Bednarz, che ricordiamo essere preliminare a circa 165.000 vittime.
Come tutti sappiamo, oltre al principio dell’ora per allora vige in ogni tribunale, anche quelli straordinari e in tempo di guerra, il principio del favor rei.
Se un dubbio vi è, tale dubbio va risolto in favore dell’imputato, sostanzialmente.
Al processo di Bonn si decise quindi di imputare ai “gasatori” la morte delle “sole” (ma resta un numero aberrante: ogni vita spenta è una vita di troppo) 152.000 vittime.
Ovvero, delle citate 165.000 si decise di scegliere solo quelle il cui numero poteva essere “incrociato” con la documentazione salvata dalla distruzione.
Nella fattispecie il Rapporto Korherr, una raccolta statistica di dati sulla popolazione ebraica sul suolo tedesco, tra ghetti, campi di sterminio e prigionia. Voluto da Himmler stesso e compilato nel 1943 per essere presentato ad Adolf Hitler.
Interpolato coi dati del Ghetto di Lodz, il Rapporto Korherr consentì di applicare il principio penale dell’oltre ogni ragionevole dubbio, fornendo una stima attendibile per essere usata in un processo, pari a 152.000 vittime accertate.
Un ulteriore fonte di verifica del dato interpolato finale deriva da un rapporto delle SS sulla modifica delle camere a gas necessaria per raggiungere la massima efficienza nello sterminio, citato nel testo di Montague riportato, dal quale possiamo, con una semplice astrazione, arrivare al numero di 145.000 vittime.
Lo scostamento, come vedete, è assai minimo, e consente di ricostruire quasi perfettamente il numero effettivo di vittime, arrivando, in una ipotetica “revisione del processo di Bonn”, ad una declaratoria di sufficienza del compendio probatorio.
Notiamo purtroppo, e più volte l’abbiamo notato, come uno dei cavalli di battaglia del Negazionismo sia non già negare l’Olocausto di per sè. Cosa che alcuni fanno, ma si è dimostrata col tempo antiscientifica e falsa, ma semplicemente sterilmente cavillare sul numero delle vittime, deridendo la battaglia che la Storiografia ha dovuto fare per recuperare documenti distrutti e vite letteralmente svanite nel fumo dei camini.
Il che rende il tutto due volte orribile e disumano: perché viene sfregiata, con la memoria delle vittime, anche la memoria di storici e magistrati che negli anni hanno ricostruito quel vuoto, e perché si parte dal presupposto che spezzare delle vite umane sia meno grave se riesci a sfilare da quel numero un migliaio di persone.
Se l’Olocausto era costruito come una macchina per privare il prigionero di ogni personalità, renderlo oggetto e macchinario per poi ucciderlo non da uomo, ma da cosa, trasformare le stime nell’equivalente della fettina di prosciutto in più che il salumiere “ti lascia” perché ha calcato troppo la mano con la macchinetta del prosciutto rende ancora più necessario conservare la storia e la memoria.
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