La clickbait “dell’allenatore che dice che Imane Khelif è un uomo” e lo stato dell’informazione

di Bufale.net Team |

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Ci è stato più volte segnato un articolo secondo cui esiste “un allenatore che dice che Imane Khelif è un uomo”. Al principio ci siamo rifiutati di entrare nel merito, per una questione (perdonate il calembeur) proprio di netto principio: nascondere le parti essenziali di un articolo dietro un paywall è quello che chiamo clickbait, pagare per restare più ignoranti di prima su una questione.

La clickbait "dell'allenatore che dice che Imane Khelif è un uomo" e lo stato dell'informazione

La clickbait “dell’allenatore che dice che Imane Khelif è un uomo” e lo stato dell’informazione

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Per questo troviamo molto irritante la pratica del titolo clickbait, tanto da avere una intera sezione dedicata allo stesso, ma ancora di più l’uso del titolo clickbait come prove di qualcosa che non esiste.

La clickbait “dell’allenatore che dice che Imane Khelif è un uomo” e lo stato dell’informazione

Alcuni post X, ad esempio qui e qui descrivono erroneamente la storia di un allenatore che avrebbe dichiarato che Imane Khelif è un uomo.

A parte il fatto che non spetterebbe ad un allenatore, cosa che sarebbe scientifica come avere un muratore dichiarare che un grattacielo di cui peraltro non ha mai visto la struttura interna è in regola o meno coi permessi edili e “credergli sulla parola”, la bufala si regge solamente sul fatto che chi l’ha condivisa ha condiviso solo il titolo, il resto è sotto clickbait e il commentatore medio preferisce commentare senza pagare.

Nella pratica, facendosi un viaggio mentale basato sul solo titolo, sovente un “virgolettato inventato” o un brutale riassunto.

Estratto del brano contenente la parte da cui è tratto il titolo

Estratto del brano contenente la parte da cui è tratto il titolo

Pagando l’articolo, cosa che abbiamo fatto solo per voi e rimettendoci soldi che chi ha commentato non ha speso (pochi, ma è una questione di principio) abbiamo trovato una frase che vi traduciamo e da cui il virgolettato è liberamente tratto

“Francamente l’ho trovato disgustoso. Indipendentemente dai risultati di questi test biologici e, senza entrare nei dettagli, è una questione riservata ai biologi e ai medici, questa povera ragazza era devastata, devastata nello scoprire all’improvviso che forse non era una ragazza! Tutte le persone a cui piaceva, me compreso, sono intervenute per tirarla su di morale. La prospettiva dei Giochi Olimpici ha permesso di ristrutturare tutto. Per fortuna può contare anche sulla sua famiglia (molto modesta, che aiuta attraverso la boxe), che vive in una piccola cittadina dell’Algeria.”

Il riferimento espresso, che nei post X sottoposti è stato completamente rimosso è alla ben poco trasparente nota di IBA, che come è ben noto dapprima avrebbe inviato all’atleta una lettera annunciandole che in base ai loro “test genetici” ella non era una donna salvo poi continuare a giurare sull’esistenza di tali test che nessuno ha mai visto e continuamente citano senza esibire “per privacy”, usandoli come strumento per fare acclarate pressioni politiche (vedasi quanto riportato dal CONI) contro le Olimpiadi stesse (col pesante sospetto, confermato anche da altri colleghi debunker, che la vicinanza di Kremlev al Cremlino abbia il suo peso), provocando una reazione a catena per cui diverse persone hanno pubblicamente accusato Imane Khelif di essere un uomo e di altre atrocità come “essere un uomo violento che picchia le donne”, contro le quali la stessa ha dovuto dare mandato ad un importante studio legale specializzato in diritti umani per sporgere denuncia contro i calunnatiori online.

Nell’articolo l’allenatore la descrive infatti come “una povera ragazza” (enfasi: ragazza) con riferimento all’arbitraria nota dell’IBA, senza esprimere un proprio giudizio, dicendo che esso tocca a “medici e biologi”.

E i medici del CIO, nonché la Società Italiana di Endocrinologia si sono pronunciati: l’unica cosa indubbia di tutta questa indegna gazzarra è che Imane Khelif non è un uomo e ci è toccato spendere soldi per un paywall per ribattere a chi sovente condivide senza leggere.

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