La bidella pendolare e i dubbi dei social: torniamo sempre al problema delle storie esemplari. Leggere una storia da “Libro Cuore” solletica le corde dell’anima.
Spinge il giornalismo a gettarcisi a pesce: i dubbi, semmai, saranno affrontati dopo. E questo è male, andrebbero risolti prima. Perché nel risolverli dopo si crea più viralità, ma non si rende servizio al giornalismo.
La storia della “bidella pendolare” si presenta infatti come lo specchio di un’altra vicenda un tempo onnipresente sui social: la storia della “studentessa/influencer/primina che non dorme mai e si è laureata con anticipo”.
Anche in questo caso infatti la polemica è nata non dal fatto in sé, ma dalla presentazione del fatto. In quel caso la storia fu presentata mediaticamente come una storia da Scrivano Fiorentino 2.0, la dimostrazione che tutto è possibile: basta non dormire mai, non fermarsi mai, non riposare mai, annientare la propria dimensione sociale per trionfare.
Omettendo, cosa che emerse solo nel prosieguo, che comunque la studentessa partiva da eccellenti condizioni sociali e familiari in grado di supportare il suo percorso (dato non scontato), col dibattito scaturito affrontato solo ex post.
Cosa ottenemmo? Inutili odi e discussioni su di lei, un dibattito che mancò il segno per mesi.
Accidenti, ci siamo ancora.
Anche qui siamo in una storia simile: una bidella presentata dai media come un’eroina del lavoro e del posto fisso che tutti i giorni prende il treno da Napoli a Milano e dintorni perché più economico di trovare casa a Milano.
Anche qui la regola è viralizzare poi, pensarci dopo. La “bidella pendolare” è già diventata il nuovo mito del nuovo Libro Cuore, specialmente se viene opposta alle nuove figure malefiche del momento come i giovani che non hanno voglia di lavorare e furbetti del reddito di cittadinanza.
Cominciamo però coi problemi, evidenziati dai lettori più accorti. Problemi che forse andavano affrontati prima
Uno dei sottopancia diffusi sulla notizia si spinge a fare i conti in tasca alla “bidella pendolare” giustificando la sua scelta
Quindi una singola costerebbe 650 euro, a fronte di uno stipendio da 1.100 euro.
Ok? Ci siamo.
Il problema evidenziato dalla Rete è che, a meno che non vi siano elementi ignoti, anche viaggiare in treno non è gratis.
Alcuni utenti hanno provato a calcolare in proprio, dal portale di Trenitalia, il costo di un abbonamento: arriviamo a pareggiare facilmente lo stipendio indicato.
Possiamo infatti escludere l’uso di soluzioni Intercity: un viaggio di sola andata mediante Intercity dura infatti circa nove ore.
Alla fine, dovremmo credere che, siccome si parla espressamente di viaggio andata e ritorno, usando tariffe da Intercity dovremmo dichiarare che la pendolare di cui si parla passi diciotto ore in treno e sei al lavoro.
Cosa senz’altro non possibile che ci porta a ritenere che l’abbonamento sia per treni ad alta velocità.
Tutto coinciderebbe: quattro ore e mezzo per l’andata, quattro e mezzo per il ritorno, le nove ore di viaggio ci sono tutte.
Ci sono anche possibilità di abbonamento, ci sono tutti gli elementi.
Tranne uno, i costi.
Se un mensile Intercity, fonte Trenitalia, costa circa 500 euro al mese, con un mensile ad alta velocità la somma si raddoppia arrivando agevolmente a 1000 euro ed oltre
Delle due l’una: o stiamo parlando di un abbonamento mensile Intercity, costo 500 euro circa (soli 100 euro in meno dell’alloggio) ma in questo caso la lieve differenza economica sarebbe divorata dallo spendere almeno diciotto ore in treno, oppure stiamo parlando di un abbonamento mensile Lun-Ven (naturalmente aggiungendo il sabato i costi aumenterebbero) in Alta Velocità.
In questo caso i costi superano i 1000 euro. Prezzo che renderebbe anche ipotetici sconti o riscatto di punti viaggio meno competitivo del citato affitto.
Sicuramente molto meno competitivo che, ad esempio, prendere casa nel Pavese e fare il pendolare per 20-30 minuti.
La storia comincia a scricchiolare: ma ammettiamo che, come nel caso Rossignoli citato, alla fine arrivino spiegazioni, correzioni e giustificazioni.
A questo punto scatterebbe quanto abbiamo correttamente letto da Rolling Stones: il nostro “Libro Cuore 2.0” si arricchirebbe facilmente di un immaginario distopico degno più che di De Amicis di un episodio particolarmente poco ispirato, ma molto più spaventoso di “Black Mirror”.
Avremmo quindi la glorificazione del “posto fisso ad ogni posto”, la mitologia del lavoratore che, in quanto tale, deve accettare l’inaccettabile.
Una società immaginata e sognata tale da mettere il Giappone del Karoshii, la “Morte da superlavoro” tra i modelli di vita. Siamo passati in scioltezza dalla glorificazione dello studente che, per la desiderata laurea cessa anche solo di dormire per arrivare al traguardo alla glorificazione del “superpendolare” pronto a vivere un’esistenza precaria perché la precarietà sul lavoro sarebbe un peccato contro la Società.
Il punto della storia non diventa più “Ma perché non prendere casa nel Pavese e diventare pendolare su una tratta da mezz’ora (Pavia-Milano)?”
Diventa l’acritica, senza alcuna domanda, glorificazione dell’annientamento del sé in nome del posto fisso.
La contrapposizione tra il “nuovo eroe” in grado di rinunciare a tutti, compresi il sonno e la salute, e il “nuovo nemico”, che rifiuta di “fare la sua parte”.
E questo non è certo positivo.
Foto di copertina: Pendolino High-Speed Tilting Train, di Leonid Andronov
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