La batteria a CO2 rientra nella sezione “ora sai che”. Non bufale, non editoriale, curiosità dal mondo. Spesso benevole.
Ne parliamo perché è un progetto Italiano, e ne parliamo perché se sono rose, fioriranno. Nel senso migliore del proverbio: un buon risultato sarebbe auspicabile. Non per sciovinismo, ma perché la tecnologia ha delle promesse da mantenere una volta sviluppata nel suo potenziale.
Come vedrete nel video di Ingegneria Italia, la prima batteria dimostrativa sembra però avvicinarsi a questi obiettivi.
La tecnologia usata, come scoprirete cliccando sul video, si basa su una variante evoluta del Liquid High Energy Storage. In questo caso un gas, la CO2, viene raffreddato fino a raggiungere lo stato liquido e, in caso di necessità, può tornare allo stato gassoso attivando delle turbine.
La CO2, rispetto all’uso di miscele di gas come l’aria atmosferica o altre sostanze ha il vantaggio di avere un punto di condensazione più alto, richiedendo temperature più elevate e quindi limitando costi ed energie in gioco.
Il tutto con un peso specifico ed un costo di installazione inferiore rispetto a batterie al piombo e al litio, con costo di stoccaggio inferiore di meno della metà delle “soluzioni tradizionali”.
L’anidride carbonica, ad alta pressione, diventa un liquido, ma espandendosi moltiplica il suo volume fino a 400 volte.
La batteria è una forma di compressione quindi: la CO2 viene stoccata compressa e, decomprimendosi, attiva delle turbine che producono l’energia richiesta e del calore.
Calore a sua volta recuperato in un sistema di accumulo di energia termica. L’entropia impedisce cose come il moto perpetuo o un’efficienza energetica del 100%, ma al 75% si dovrebbe riuscire ad arrivarci.
Un buon numero, ancorché inferiore all’efficienza delle batterie al litio (intorno al 90%), compensato dal basso costo di stoccaggio.
Ci sono quindi soluzioni dal basso costo di stoccaggio ma dalla lenta risposta energetica, in grado quindi di garantire reazioni più lenti, e dall’alto costo di stoccaggio ed alta reattività ed efficienza.
Da questo punto di vista, siamo ad un buon compromesso. E se l’impianto di prova in Sardegna, di cui si parla già da un anno ed inaugurato quest’anno manterrà le promesse si potrà pensare ad un progetto su larga scala.
Se il progetto su larga scala andrà a regime, avremo una tecnologia italiana, uno standard di stoccaggio energetico e un passo in più per diventare attori del settore energetico e non semplici consumatori.
Pensate a come la batteria a CO2 e startup come Energy Dome potrebbero liberarci dal giogo russo consendoci di stoccare energia elettrica con mezzi facilmente reperibili e un gas onnipresente.
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