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Irena Sendler, l’Angelo del ghetto di Varsavia

Non sopporto quando le persone mi chiamano eroina. Non sono un’eroina”: questo disse di sè Irena Sendler, l’Angelo del ghetto di Varsavia, membro di Zegota.

Nel suo caso, il Bene è un bene che si tramanda di generazione in generazione: il padre Stanislaw Krzyżanowski era un medico socialista che si spendeva attivamente per le minoranze, prestando assistenza gratuita agli abitanti ridotti in miseria della comunità ebraica.

Fu in tale occasione che morì di tifo nel 1917, e la comunità Ebraica di Varsavia, riconoscente, provvide a pagare gli studi e le spese necessarie alla sopravvivena della piccola Irena, all’epoca di 7 anni.

Irena ripagò più volte quel debito.

Irena Sendler, l’Angelo del ghetto di Varsavia

Era studentessa universitaria nel 1937, quando le leggi razziali obbligarono dapprima gli ebrei a sedersi su banchi all’ultimo posto, additati come “giudei”, “semiti” e “sionisti” e poi scacciati, e Irena decise di sedersi accanto a loro e protestare contro le persecuzioni, venendo scacciata dall’università per tre anni.

Sarebbe riuscita comunque a laurearsi, in tempo per diventare assistente sociale sotto le più crudeli leggi razziali, quelle che nella Polonia invasa impedivano ai cittadini non ebrei di aiutare gli ebrei sotto pena di morte.

Come ogni vero eroe Irena decise che semplicemente non le sarebbe fregato niente delle leggi razziali: quello che vide erano condizioni di vita agghiaccianti, soldati crudeli che tiranneggiavano gli ebrei del ghetto, malattie e scarsità di cibo.

Doveva intervenire: nel 1942 come membro della società segreta Zegota, sotto il nome in codice di “Jolanta” fece in modo che migliaia di bambini avessero documenti falsi per fuggire dal ghetto ed essere affidati a famiglie cristiane e di volontari in attesa di ricongiungersi, dopo la guerra, ai loro genitori.

Duemilacinquecento bambini furono salvati attraversando fognature, passaggi sotterranei, viaggiando in barelle e bare, tra cadaveri e sacchi di iuta.

I loro nomi venivano custoditi in archivi fatti di barattoli e fazzoletti, sepolti nel giardino di una attivista amica. Nel 1943 i tedeschi la trovarono e la torturarono brutalmente, senza alcun successo alcuno, con l’unica compagnia di un quadretto di Gesù che fu poi donato a Papa Giovanni Paolo II.

Solo la presenza tra i soldati di guardia di un soldato corrotto da Zegota, che in polacco le ordinò di fuggire quando doveva essere condotta dinanzi al plotone di esecuzione, le consentì di salvarsi.

Dopo la fine della guerra potè recuperare i suoi archivi e ricongiungere parte dei bambini salvati ai loro genitori: molti infatti erano stati uccisi dai nazisti.

La sua storia divenne nota solo nel 1965 e riconosciuta trent’anni più tardi con la medaglia di “Giusto fra le nazioni”, la più alta onorificenza assegnata dall’Ente nazionale per la memoria della Shoah in Israele.

Nel 2007 fu inoltre candidata al Nobel per la Pace e lo stesso anno il governo polacco la proclamò eroe nazionale, con voto unanime del senato.

Morì un anno dopo, madre di due figli e madrina degli oltre 2000 bambini salvati.

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