Invia foto del figlio al pediatra: padre bannato da Google e denunciato per pedofilia. Questa è una storia a metà tra un romanzo distopico di Cory Doctorow e un testo di Kafka che coinvolge più sospetti e nei quali i confini dei torti e delle ragioni si sfumano.
La storia parla di un padre di nome Mark (cognome ovviamente rimosso per privacy) che una bella (o brutta) mattina decide di usare i servizi tecnologici in un modo probabilmente pigro, forse ottimista, decisamente fonte dei suoi guai.
Nel febbraio del 2021, avvedutosi che il figlio ha una probabile infezione inguinale anziché dirigersi dal medico decide di scattare una foto alle parti intime del bambino e spedirle così al medico.
Così facendo tali foto finiscono nei servizi Cloud di Google, i quali conservano (salvo modifiche delle preferenze) diversi dati dell’utente. Tra i quali la rubrica dei contatti, le app installate e le foto.
Utilissimo se devi riformattare o cambiare il cellulare e vuoi recuperare tutto. In questo caso, origine di una problematica vicenda
Le foto scattate da Mark vengono infatti segnalate dagli algoritmi di Google come contenuto chiaramente pedopornografico. Del resto parliamo delle foto di un minore.
Negli USA peraltro una norma impone ai provider che si imbattano in foto di bambini ritratti in chiari atteggiamenti pedopornografici di segnalarle al Centro Nazionale per la tutela dei bambini scomparsi o abusati.
Google provvede immediatamente a bannare in permanenza Mark da tutti i suoi servizi (compresi quelli di telefonia, avendo un numero ottenuto mediante Google) e allertare il Centro Nazionale.
Il quale a sua volta allerta la Polizia di San Francisco e Mark si ritrova denunciato per possesso, detenzione e diffusione di materiale pedopornografico.
Ovviamente il padre si difende in giudizio e in tempo brevissimo viene assolto per perché le sue azioni non costituiscono fattispecie di reato.
Resta a questo punto al padre rivolgersi a Google per riottenere il suo account e numero di telefono.
Ma la compagnia rifiuta.
“Il materiale pedopornografico (Csam) è ripugnante e siamo impegnati per prevenire ogni sua diffusione sulle nostre piattaforme. Seguiamo la legge statunitense nel definire cosa costituisce Csam e utilizziamo una combinazione di tecnologia di hash matching e di intelligenza artificiale per identificarlo e rimuoverlo. Inoltre, il nostro team dedicato alla sicurezza dei minori esamina l’accuratezza dei contenuti segnalati e si consulta con esperti pediatri per garantire la possibilità di identificare i casi in cui gli utenti potrebbero richiedere un consiglio medico”.
Contiene il comunicato rilasciato dalla compagnia in merito alla vicenda a chi ne ha trattato.
Torniamo quindi al problema visto anche in Europa quando si è discusso di simili normative, come per il progetto Chatcontrol, che introdurrebbe un simile algoritmo.
“È proprio quello che ci fa preoccupare – ha detto Jon Callas, un direttore dell’organizzazione Electronic Frontier Foundation, che si occupa di diritti digitali -. Che [big tech, ndr] possa avere accesso agli album di famiglia e che una persona possa finire nei guai”.
E non parliamo di guai da poco: perdere l’accesso al proprio universo virtuale e trovarsi marchiato nella comunità come un potenziale pedofilo è un problema davvero forte.
E anche se effettivamente il padre è risultato innocente, anche noi risultano, avendola trattata da vicino come servizio di fact checking, gli effetti sulla vita sociale di una accusa di pedopornografia a prescindere dalla sua veridicità.
Ricordete tutti il caso di A.M., colpito per viltà da un messaggio virale col suo profilo social che invitava a segnalarlo “come pedofilo” e che in poco tempo si ritrovò esercizio commerciale e automobile vandalizzati e distrutti da una anonima mano vogliosa di vendetta.
Da un lato quindi abbiamo il dovere di combattere la pedopornografia, crimine vile e odioso. Dall’altro lato abbiamo il diritto di tutelare, con la presunzione di innocenza, intere famiglie che rischiano di patire le conseguenze di una accusa rivelatasi infondata.
Perché con Mark ha patito e patisce tutta la sua famiglia, figlio compreso.
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