Approfondimento

#Internetshutdown: Cosa è accaduto quel folle lunedì ai Social (spiegato semplice)

Ieri è stato il folle lunedì dell’#internetshutdown. Un meteorico evento, un pomeriggio di insana follia che non tutti hanno compreso, e con conseguenze tragicomiche che abbiamo seguito in diversi articoli.

Tragicomiche perché dimostrano il rapporto del reale col virtuale, quanto siamo diventati dipendenti da strumenti che non comprendiamo appieno e come, nel web 2.0, l’identificazione tra la Rete e i Social sia diventata totale e assoluta.

Come tutto è iniziato: #facebookdown

Per una serie di motivi legati secondo le attuali evidenze alla colpa e non al dolo (sostanzialmente: un errore), i server di Facebook hanno perso la risoluzione dei DNS.

Un termine tecnico, di cui abbiamo parlato nel nostro articolo citato nella frase precedente, con una spiegazione assai semplice.

Immaginate un quartiere. Un quartiere in cui, all’improvviso dei ragazzini decidano, e riescano, a far sparire tutte le targhe. E dico: tutte.

In pochi minuti spariscono le targhe che indicano le vie, i civici dai portoni, le targhette sui campanelli, le insegne dei negozi. Senza alcuna ragione apparente spariscono anche le targhe delle automobili, i monumenti, ogni singolo elemento che rende riconoscibili le abitazioni.

La perdita della capacità di risolvere i DNS è proprio questo: Facebook, Instagram, Oculus e Whatsapp erano fisicamente lì dove sono sempre state, ma nessun computer sul pianeta riusciva a trovarli.

Nel nostro esempio, improvvisamente il quartiere si è riempito di postini e corrieri che vagavano impazziti chiedendosi dove fosse finita ogni singola casa, come avrebbero potuto trovare un abitante in mezzo ad un quartiere popoloso.

Di qui, le cose sono rapidamente degenerate.

Facebook non è solo Facebook

Una infinità di servizi terzi poggiano su Facebook. Ci sono un numero incalcolabile di App, giochi per cellulare e simili che come molti sanno possono usare l’account di Facebook per l’autenticazione.

Molto comodo: non devi creare un account per giocare a Ingress o Pokemon GO per esempio: gli dai in pasto la password di Facebook ed entri.

Ma se Facebook non funziona, tutto l’ecosistema di giochini, app, cambiafaccia e “scarica questa app per capire che frutto sei” diventa inaccessibile.

Nell’invisibile città di cui parliamo, sarebbe come ricordarsi improvvisamente che la sala giochi che frequenti è da qualche parte nel quartiere ormai inaccessibile, ma siccome non ci sono più strade e numeri civici non sai trovarla. Ed anche se la trovassi non troveresti il bar che ti cambia le banconote in spiccioli per giocare. Ed anche se trovassi il bar non troveresti il bancomat.

Certo, avresti potuto registrarti con un account in proprio: ma chi avrebbe mai pensato di restare senza Facebook per un pomeriggio intero?

Problema così evidente che alcuni impiegati Facebook sono rimasti chiusi fuori dai loro uffici perché i badge controllavano le loro identità con server ora inaccessibili.

Nell’impossibilità di accedere in remoto a server introvabili nella Rete per correggere il problema si è finito a mandare team di riparatori come si sarebbe fatto prima dell'”Internet delle Cose”.

Inoltre, per molti Facebook è diventata fonte primaria di informazione.

Nel Web 1.0, poteva capitare che un portale di informazione diventasse inaccessibile. Ricordiamo che errori di routing succedono quotidianamente nel numero incalcolabile di siti che la Rete offre.

Semplicemente, se non riuscivi ad aprire il sito de La Repubblica, andavi a leggere il Corriere della Sera. Se non ti si apriva il sito del Sole 24 Ore, andavi su Italia Oggi e così via.

Per molti la pagina social dei giornali è ormai più importante del giornale stesso, e senza passare dalle forche caudine dei commenti tossici, dell’insulto libero dell’emoticon risata dello sfregio tossico nessuno saprebbe che fare.

Da #facebookdown a #twitterdown fino a #internetshutdown

Ora: ogni giorno migliaia di siti hanno disservizi. Migliaia su milioni di milioni. E pochi se ne accorgono.

Ma improvvisamente il social più popolato dai 30-40enni era sparito.

Tornando all’esempio un intero quartiere popoloso era diventato inaccessibile.

Cosa hanno fatto gli abitanti dello stesso? Si sono riversati urlando come se fosse la fine del mondo in tutti i quartieri della città, intasando le strade e urlando disperati di non riuscire a ritrovare la loro casa nel quartiere vicino e chiedendo aiuto a chiunque fosse presente.

Oppure si sono riversati nella folla per puntare il dito e ridere della sorte dei transfughi del “quartiere fantasma” e del quartiere stesso, a colpi di meme e risate.

Il risultato è stato lo stesso: Twitter, Telegram e i social sopravvissuti si sono trovati improvvisamente “intasati” da un numero di utenti imprevisto.

Non sufficiente per farli scomparire, ma sufficiente per creare rallentamenti e disservizi, chiamati #internetshutdown da chi aveva paura di trovarsi in un mondo senza social.

Quello che accade nei social, non resta nei social

I riscontri nella vita reale sono stati per Mark Zuckerberg un autentico lunedì nero.

Cinque ore in cui in un’economia basata sull’intuitus personae, sulla fiducia nel soggetto e nel marchio, gli è capitato di tutto.

In cinque ore si è fatta avanti una informatrice pronta ad accusare in pubblico Facebook di aver fallito la sua campagna contro la disinformazione e la tutela dei soggetti fragili, anteponendo profitto a promesse.

E mentre Facebook faceva il possibile per difendersi dalle accuse ecco che senza alcuna spiegazione per gli utenti (anche perché non esisteva più il canale per fornigliela) tutti i servizi legati al’ecosistema Facebook, da WhatsApp a Instagram passando per Oculus sono scomparsi nel nulla.

Un marchio è fiducia: cinque ore e sei miliardi di dollari persi nel nulla dopo, la situazione è rientrata.

Sei miliardi di dollari per una impresa come Facebook sono qualcosa di recuperabile: ma l’indice che nel lunedì nero di #internetshutdown la fiducia nel marchio ha subito una dura ammaccatura.

Il giorno in cui #internetshutdown, ma Internet era lì: l’educazione digitale grande assente

Per un folle pomeriggio di pazzia, l’esercito dei “Buongiornissimo caffé”, la torma degli stralunati utenti immortalati in pagine come “Il proliferare delle immagini di m**** nelle bacheche …” è sbarcato come un glitterato esercito di angeli vendicatori sul Veliero di Corto Maltese scontornato male, tra un Mugsy il Cane del Caffé e un “nonnetto che piange perché i suoi nipoti non lo chiamano eppure il cellulare non era rotto (marchio registrato)” sono sbarcati su tutti i social.

Dimostrando di avere enormi problemi a comprendere il mezzo che è diventato la loro vita quotidiana.

Spariti i Social, per loro era come se Internet stessa fosse scomparsa. Appunto, #Internetshutdown

A nessuno di coloro che sono apparsi su Twitter chiedendo di Facebook è venuto in mente che probabilmente le pagine dei giornali online continuavano ad essere aggiornate.

Noi stessi di Bufale abbiamo dato ampia copertura alla questione, cedendo al “malcostume” e dando condivisione sui social rimasti quando sarebbe bastato aggiornare la nostra pagina.

A nessuno è venuto in mente che probabilmente gli SMS sono comunque un nobilissimo strumento di emergenza, e abbiamo assistito imbarazzati allo spettacolo di giovani e meno giovani, impacciati decani ma spesso ventenni che senza WhatsApp temevano che i disservizi di Telegram diventassero blocco perché non avrebbero più saputo organizzarsi.

Non solo il signorotto di mezza età convinto che se l’email non funziona bisogni chiamare la SIP, ma l’intero “Popolo della Rete” ha dimostrato un’ambivalenza totale.

Gente che vive di social, che ha bisogno fisico della sua rissa quotidiana, ha improvvisamente cantato le lodi del vivere analogico… su Twitter, campeggiando in una sorta di campo profughi virtuale per poi tornare alla vita di buongiornissimi e sfregi social su Facebook al primo “rompete le righe”.

Intere generazioni che hanno poggiato il loro vivere sociale su Messenger e WhatsApp hanno tentato senza successo di usare altri social con altre regole diverse, rischiando il tracollo totale.

La situazione è diventata paradossale: con #Internetshutdown come hashtag su Twitter principale, orde di utenti cantavano il funerale della Rete, riuniti uno dei social rimasti attivi sulla Rete, riempiendolo fino a metterne le capacità a dura prova, dividendosi tra chi incapace di ottenere informazioni dalla Rete cercava di chiederle in un passaparola che tecnologico ha ben poco e chi, pochi minuti dopo aver dichiarato che senza “la Rete” la sua vita sarebbe stata migliore, si è rituffato su Facebook con lo spirito dell’alcolista che vede il suo bar preferito riaprire.

E tutto questo dovrà insegnarci qualcosa…

I Social non sono perfetti, ma dobbiamo farceli bastare

Certo, anche noi abbiamo pensato che un #internetshutdown più lungo sarebbe stato educativo.

Abbiamo visto, sappiamo come va a finire che usate i Social. Se va bene, a colpi di buongiornissimi.

Se va male qualcuno finisce in cella dopo aver imbruttito male qualcun altro sui Social perché l’esistenza di Facebook gli ha fatto dimenticare che se minacci qualcuno e lo diffami dietro un monitor, nei guai ci finisci comunque.

O qualcuno si trova la DIGOS in casa a spiegargli che non puoi aprire un gruppo Telegram per incitare violenze, linciaggi e molestie.

Scoprire che come ogni costrutto umano i Social non sono eterni, non sono un “diritto acquisito”, ma un qualcosa congegnato in modo che se domani Zuckerberg andasse fallito, se al prossimo errore i server di Facebook prendessero fuoco direttamente potrebbero non esserci più, ci aiuterebbe a usarli con ritrovato rispetto.

E sapere che Internet esisteva prima degli attuali Social, esisterà quando avremo qualcosa di diverso, e che ciò che facciamo nel mondo virtuale pesa nel reale, ci aiuterà a usarne ogni risorsa.

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