Acchiappaclick

Insulti razzisti alla Kyenge: “Vicesindaco assolto perché ‘neg*a’ si può dire”, ma è una comoda semplificazione

Un articolo pubblicato il 21 luglio 2020 su questo sito, curato da una giornalista di Libero, ritorna sul caso degli insulti razzisti alla Kyenge rivolti da un vicesindaco all’ex Ministro nel 2013 che la definì “neg*a” senza giri di parole. Secondo l’articolo il vicesindaco sarebbe stato assolto perché dire “neg*a” non è reato. Questa semplificazione richiede alcune precisazioni.

Cécile perde la causa: “Neg*o” si può dire e con “sporco neg*o” non si ricade nell’illecito penale. Ora sdoganiamo le altre parole vietate negli ultimi anni.

Un titolo tecnicamente poco onesto che nasconde una realtà più complessa. Di tale sentenza esiste riscontro sulle testate nazionali.

Gli insulti razzisti alla Kyenge nel 2013

Il processo si era chiuso il 13 luglio 2020 al tribunale di Macerata con l’assoluzione del vicesindaco di Civitanova. Ne parla Cronache Maceratesi in questo articolo. Nel 2013 aveva pubblicato una foto che mostrava l’ex Ministro distribuire cibo in una mensa commentando con “Resta neg*a” e per questo era stato denunciato per diffamazione con l’aggravante dell’odio razziale. Troviamo qui un riassunto pubblicato dalla stessa testata.

Il vicesindaco aveva sempre respinto le accuse – contro di lui altri due processi, uno per aver offeso Laura Boldrini e l’altro per aver insultato Papa Francesco – ma il pm aveva chiesto 7 mesi di reclusione. Il tribunale di Macerata il 13 luglio lo ha assolto e si è preso 90 giorni per motivare la sentenza.

Come riporta Corriere Adriatico, infatti, dopo i 90 giorni la Procura potrebbe portare il caso in Appello. L’avvocato del vicesindaco sostiene che non non esistano prove che gli insulti razzisti alla Kyenge fossero opera del suo assistito. Secondo il consulente tecnico della difesa: “Il nome può essere modificabile da chiunque”.

Il pm si oppone: “Lo aveva ammesso lui stesso”

Secondo il pm in passato il vicesindaco aveva ammesso di essere il responsabile di quegli insulti: “Può smentire quello che vuole ma lui stesso si era accusato. E comunque, scoperto questo, perché non ha denunciato nessuna persona ignota per sostituzione di persona?”.

L’avvocato ha rilanciato valutando la possibilità di un attacco hacker. Qualcuno, in pratica, si sarebbe impossessato delle credenziali di accesso dei social del vicesindaco. Per questo il legale ha ricordato che la probabile ammissione di colpa del vicesindaco non gli era stata resa nota.

Come riportava anche Il Giornale prima delle motivazioni della sentenza devono passare 90 giorni e oggi, 6 ottobre 2020, ne sono trascorsi 85.

L’insulto a sfondo razzista nel codice penale

Chi scrive l’articolo da noi preso in esame esulta, in un certo senso, per la depenalizzazione della parola “neg*o”, che non rappresenterebbe più un insulto a sfondo razziale. Cosa dice la legge in merito? Leggiamolo insieme in questo articolo pubblicato su La Legge Per Tutti.

L’odio razziale costituisce una aggravante. Esso, quindi, si deve poggiare su un reato. Se non c’è un reato, la discriminazione in sé non è punibile. Dire «neg*o di me**a» mentre si picchia una persona configura il reato di lesioni, aggravato dall’odio razziale.

Continuando a leggere apprendiamo che oggi la parola “neg*o” si riconduce a un illecito civile. Chi si rivolge a uno straniero proferendo parole razziste non viene punito penalmente ma può trovarsi costretto a un risarcimento del danno per ingiuria. Aggiungiamo, tuttavia, che se tale ingiuria viene pronunciata in pubblico e in assenza del destinatario dell’offesa, chi offende commette reato di diffamazione e può essere perseguito penalmente.

Perché “acchiappaclick”?

Parliamo di acchiappaclick perché il caso del vicesindaco accusato di insulti razzisti alla Kyenge viene semplificato con questa formula: “L’insulto razzista non è reato, Kyenge battuta in tribunale”, ma non è così. In primo luogo l’avvocato dell’accusato ha sostenuto che il suo assistito non fosse artefice di quei commenti, anche se il pm ha ricordato che lui stesso confessò di esserne l’autore.

In secondo luogo non si conoscono le motivazioni della sentenza (l’assoluzione) e già da luglio molte testate hanno dato per scontato che tutto fosse chiaro. Affermare che l’insulto razzista sia stato depenalizzato non significa che non possa essere punito: è riconosciuto come ingiuria, un illecito civile che potrebbe condannare l’autore dell’insulto a un risarcimento a favore della persona offesa.

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