Ci segnalano i nostri contatti una notizia molto promettente. In tutto il mondo, Italia compresa adesso, si muovono i primi passi per la cura del Coronavirus.
Ci sono colonie virali nei laboratori, piccoli serbatoi di virus prelevati e “sfruttati” per cercare una cura e medicine, e ci sono ospedali pronti a testare protocolli di azione.
In Thailandia viene dal passato una intuizione assai brillante che potrebbe essere utile.
Il Ministero della Salute Thailandese dichiara di aver ottenuto un notevole miglioramento trattando una paziente in età avanzata, infetta dal nCov-2019, con farmaci anti-influenzali e gli antivirali usati per l’HIV.
La ragione è semplice, ancorché va spiegata in modo volutamente atecnico: la combinazione Lopinavir/ritonavir usata per combattere l’HIV ne ostacola la replicazine colpendo la protease, un enzima che sia il nCov-2019 che l’HIV usano per tagliare le proteine durante la loro replicazione.
Ricorderete tutti dalle vostre reminscenze di Esplorando il Corpo Umano gli episodi su DNA e RNA: quelli che rappresentano il codice genetico come un nastro con dei buffi omini seduti che viene tagliato e incollato da altri omini più grandi vestiti da operai.
Un virus nella nota trasmissione educativa veniva rappresentato come un vermetto con le braccine e la faccia antipatica che, estratto dalle sue viscere un suo nastro con dei suoi omini, afferrava un paio di forbici per sforbiciare via gli omini inseriti dagli operai nel corpo umano e inserire i suoi.
Come risultato, le “fabbriche” immaginarie del corpo umano avrebbero smesso di produrre altre cellule e cominciato a riprodurre altri vermetti con le braccine e la faccia antipatica: gli antivirali sostanzialmente distruggono quelle forbici, o le rendono ottuse e senza filo rendendo ai vermetti assai difficoltoso “lavorare” sull’organismo ospite.
È evidente: in questo caso una regressione nei sintomi c’è stata.
Non basta un paziente curato, in quanto una rondine non fa primavera. Bisognerà quindi curare alcuni pazienti col cocktail di farmaci, altri senza e poi paragonare i dati dell’esperimento.
Cosa che quasi accadde con la SARS, che ricordiamo ha circa il 70% di codice genetico in comune col nCoV-2019, ma che non avvenne perché, semplicemente alla fine l’emergenza SARS finì.
Finì il periodo di maggiore infettività, la pandemia fu contenuta, la paura sparì, tutti tornammo alle nostre vite e non ci fu più bisogno di andare avanti.
Ma ora che il bisogno c’è, questa potrebbe essere un’ottima occasione.
Occasione che va parametrata rispetto a fattori che conosciamo: con la MERS, che ha invece il 30% in comune col nCoV-2019 e appartiene ad un sottogenere diverso, un simile esperimento ha avuto risultati decisamente inferiori.
E va anche studiato il momento in cui cominciare la terapia: ovviamente, il prima possibile. E una terapia “tardiva” che effetti potrebbe avere? Tante domande, cui speriamo di trovare risposta.
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