Ci segnalano i nostri contatti un curioso caso di eterogenesi dei fini che ha colpito l’opera di Ruth Beraha.
Doverosa premessa: dicesi eterogenesi dei fini quando un atto posto in essere per un determinato scopo finisce a sortire un effetto del tutto diverso, se non opposto.
Ora partiamo con ordine, e cominciamo dall’inizio: Ruth Beraha è una giovane e brillante artista Milanese, “naturalizzata” veneta, con un’impressionante portfolio alle sue spalle reso ancora più sorprendente dalla sua giovane età.
È proprio nel suo Portfolio che, tra le opere del 2018, troviamo una curiosa targa in ottone descritta come autoritratto, dal titolo “Io non posso entrare”. Non è casuale la scelta di inserire il termine autoritratto nel titolo: l’artista riconosce espressamente che, ai tempi delle leggi razziali sottese alla sua opera d’arte e protesta, lei stessa sarebbe stata privata dei diritti fondamentali.
La poetica di Ruth Beraha è infatti una salace rilettura del rapporto tra arte e suo fruitore: Ruth Beraha ama giocare con l’ambiente circostante in modo da creare opere che colpiscano il fruitore suscitando in lui un momento di intensa riflessione.
Rende infatti una targa con le semplici parole
Vietato l’ingresso
agli ebrei
e agli omosessuali
un momento di profonda riflessione. Riportando le parole del suo portfolio in forma testuale, quindi maggiormente accessibile come siamo certi ella stessa probabilmente desideri
Nel romanzo Lo Schiavista, Paul Beatty immagina il presunto ritorno della segregazione razziale come unico mezzo per ridestare nella comunità nera di Dickens, una località alla periferia di Los Angeles, la consapevolezza di sé e della propria dignità come esseri umani. Per assurdo, per paradosso, trovarsi a fronteggiare nuovamente la segregazione sulla base del colore della propria pelle sembra un metodo efficace per far rialzare la testa ai cittadini rassegnati e donare loro nuove prospettive di riscatto, come se la negazione dei diritti conquistati potesse risvegliare le coscienze più dei diritti stessi. L’intuizione dell’autore afroamericano è stata di grande ispirazione per questo progetto. Su una targa di ottone (materiale dall’aspetto prezioso, legato al denaro e al potere, come quelle che segnalano la presenza di uno studio di avvocati o di un luogo istituzionale), è inciso il divieto di ingresso a due categorie di persone: gli ebrei e gli omosessuali. Un piccolo oggetto scintillante e specchiante che porta su di sé un odioso messaggio che può risultare vistoso come una bandiera. Io non posso entrare è un autoritratto, pensato per essere collocato sulla soglia di un negozio, un’abitazione, una mostra o qualunque luogo che presenti un ingresso, che può far sbocciare riflessioni e quesiti sui razzismi quotidiani che ogni giorno di più ascoltiamo e percepiamo in e intorno a noi.
Il riferimento è ad un romanzo di Paul Beatty, Lo Schiavista, in cui un uomo di colore nella periferia americana, un cittadino modello, decide un bel giorno di instaurare nel quartiere in cui vive una “scuola solo per persone di colore” e, raccolto dalla strada un ex attore afroamericano di colore, decide di assumerlo come suo “schiavo personale” in un effervescente tentativo (fomentato dalla sua mentalità di stralunato omuncolo dedito alla marijuana e dai bizzarri percorsi mentali) di ridestare l’attenzione dell’uomo moderno nei confronti della discriminazione.
Ruth Beraha cerca di ottenere lo stesso effetto passando attraverso l’arte: un po’ come la Città Metropolitana di Reggio Calabria che ha deciso di esibire manifesti basati sulla brutale retorica fascista per farci capire in quale mondo violento e dittatoriale vivremmo se il 25 Aprile non fosse mai arrivato, Ruth Beraha decide di mostrarci un divieto non dissimile da quello visto sotto il nazifascismo e le Leggi Razziali.
E lo fa con una targa di ottone: preziosa, lucidata a specchio come le targhe degli studi professionali e dei musei. Targa da appendersi di fronte a musei, a luoghi d’arte e di discussione, in modo da scioccare e stimolare l’utente, riflesso nel brillante ottone, a tenere a mente lo shock provato.
Ed ecco che davanti al Museo di Arte Contemporanea di Livorno l’artistica provocazione di Ruth Beraha colpisce nel segno.
Imbrattata con vernice spray nera da un giovane studente livornese, che non ha colto il senso ritenendola offensiva, la targa in ottone con scritto ‘Vietato l’ingresso agli ebrei e agli omosessuali’, opera dell’artista Ruth Beraha ‘Io non posso entrare’, installata ieri sul muro di ingresso all’esterno del Museo della Città di Livorno. Sia l’artista sia la direttrice del museo Paola Tognon presenti al momento del gesto si sono confrontate con il ragazzo riconoscendo l’istintività del gesto. Al termine il giovane ha donato all’artista Ruth il libro di Italo Calvino ‘Il sentiero dei nidi di ragno’ che aveva lasciato appositamente accanto all’opera.
“Ritengo che questa opera di Ruth Beraha – ha spiegato su Facebook la direttrice del museo Paola Tognon commentando il gesto – abbia in qualche modo sollecitato solo il primo e forse il più banale dei suoi messaggi, cioè quello di essere una semplice provocazione” mentre in realtà vuol “sollecitare una riflessione contro razzismi e discriminazioni”.
Ruth Beraha, da eccellente artista qual’è, ha fatto di necessità virtù: lo spontaneo gesto di protesta del giovane (per quanto forse disattento) è entrato a far parte dell’happening artistico, portando ad un’evoluzione dell’opera d’arte del 2018, che ora presenterà un aspetto non più luccicante e specchiato per riflettere il messaggio sui volti attoniti degli spettatori, ma cupo ed annerito per esprimere fiscamente il monito, accettando l’opera di Calvino lasciata di fianco come parte della performance.
E infatti questo è il comunicato di Paola Tognon, Direttrice scientifica Musei civici di Livorno sul fatto accaduto, come riportato da QuiLivorno:
“Il 29 aprile abbiamo allestito all’ingresso esterno del Museo della Città- Luogo Pio Arte Contemporanea di Livorno, l’opera di Ruth Beraha Io non posso entrare (autoritratto). Una piccola targa in ottone specchiato che reca scritto: vietato l’ingresso agli ebrei e agli omosessuali. Stamane – 30 aprile 2019 – un giovane studente ha voluto interamente coprire con uno spray nero la targa ritenuta offensiva. Ritengo che questa opera di Ruth Beraha abbia in qualche modo sollecitato solo il primo e forse il più banale dei suoi messaggi, cioè quello di essere una semplice provocazione. Gli intenti di questa opera sono invece quelli di sollecitare una riflessione contro tutti i razzismi e le discriminazioni, quelle del passato, del presente e del futuro. In particolare Ruth Beraha ha scelto di nominare in questo divieto di accesso due categorie la cui discriminazione è tristemente riconosciuta, per questo ancor più efficaci nel porci di fronte a una riflessione più vasta sui razzismi di ieri come purtroppo anche quelli di oggi, dentro e fuori di noi. Il titolo stesso dell’opera: Io non posso entrare (autoritratto) segnala inoltre in maniera evidente la presa diretta di responsabilità dell’artista: anche Ruth Beraha non avrebbe potuto entrare nel nostro Museo. Scrivo convintamente, oggi ancor più che ieri, che sono orgogliosa che Ruth Beraha sia entrata nel Museo di Livorno e abbia voluto costruire un progetto espositivo site specific che porta un titolo significativo: Non sarai mai solo. Ruth Beraha ha scelto di lasciare la sua opera, la targa, nella sua condizione attuale, annerita e quindi censurata. A monito e con la consapevolezza di una lotta contro ogni discriminazione. Prima la targa di ottone, appositamente specchiato, rifletteva sulla sua superficie i nostri volti e i nostri occhi increduli. Oggi è nera, ma ciò non impedisce completamente, per chi vuole, di leggerne ancora il contenuto”.
In ogni modo, è sempre l’arte a vincere, e speriamo la riflessione.
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