Editoriale

Il video delle fettine di vitello, la deontologia e perché siete delle brutte persone

Sapete di che video parliamo, quello delle fettine di vitello. Se lo cercate in questo articolo, siete delle brutte persone. Se ci avete segnalato il video chiedendo dettagli sulla signora ivi ritratta, siete brutte persone.

Ve la siete cercata, ve la siete meritata. Non vi ingrugnate.

Per tutti gli altri, una succinta descrizione del video: una signora si ferma ad un incrocio urlando e bestemmiando, in visibile stato di alterazione, qualcosa che riguarda delle fettine di vitello. Probabilmente pranzo per la famiglia ma non importa.

Il problema è che voi non sapete niente di lei, neppure noi e non è giusto saperlo.

Un temporaneo momento di alterazione o di rabbia? La spia di problemi psicologici in atto, temporanei o duraturi? La Pandemia è stata dura per tutti, creando un’ondata di disagio mentale che ha generato in soggetti altrimenti non coinvolti momenti di grave difficoltà.

Uno sfogo lo si può perdonare a tutti.

Uno sfogo ritratto da un cellulare e sbattuto con didascalie vivaci per un pugno di cuoricini su TikTok o messo su Twitter con un hashtag divertente per fare condivisioni diventa una condanna a vita.

Il video delle fettine di vitello, la deontologia e perché siete delle brutte persone

Siamo in Italia: paese dove è ancora forte lo stigma per il disagio mentale, dal più lieve al più grave.

Uno stigma che porta chi ha un momento di rabbia o di disagio a nasconderlo e vergognarsi per paura di essere archiviato tra “gli altri”. Che porta chi invece non ha un momento, ma un’acclarata difficoltà, a tenersela tutta dentro, spesso rifiutando l’aiuto che potrebbe diventare dita puntate e risate.

Nel Codice Deontologico dei Giornalisti esiste un articolo, l’art. 8, che impedisce la pubblicazione di immagini lesive della dignità della persona, oltre successivi articoli che impongono la massima cautela per non rendere quella persona riconoscibile.

Tutto giusto e nobilissimo direte: peccato che poi la Sciura Maria su Twitter, Goccediluna79 e Banana 33 su TikTok si puliscono il sedere con quella Deontologia, sbattono video e filmati sui social con una musichina presa da un video musicale del 2004 del quale si è perso anche il ricordo e qualcuno dovrà combattere con quello stigma a vita.

Un momento temporaneo di alterazione? La spia di un disagio profondo che avrebbe dovuto essere accolto da un aiuto e non dalle risate?

Non importa: c’è gente che decide di sbattere un mostro in prima pagina, ridere di lui o lei per pochi like e trasformare un momento di disagio in momento di ilarità.

Per voi sono solo “fettine di vitello”.

Per qualcuno è solo una persona che urla in una strada. Ma se quella persona fosse vostra madre o vostro padre? Se foste voi?

Se un singolo momento nella vostra vita vi inseguisse per sempre, amplificato dalle risate di milioni di utenti armati di Smartphone, se quello stigma vi inseguisse nella vita, nel lavoro, nelle relazioni, cosa provereste?

Vi piacerebbe essere “quello che urla nel TikTok che ho visto ieri”?

Vi piacerebbe scoprire che un vostro momento di debolezza vi impedirà di trovare un lavoro, vi ostacolerà nelle relazioni, vi renderà il guitto di qualcuno che per ridere ha bisogno di guardare un grido di dolore dal buco della serratura?

Ripeto: non sappiamo niente di quel video. E non vogliamo saperlo.

Leggete la Deontologia: perché non importa saperlo. Temporaneo o no, un momento di alterazione di un pover’uomo o povera donna su una strada trafficata non dovrebbe diventare uno stigma.

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