Tutto sembra rompersi a fine garanzia: computer, cellulari, elettrodomestici. Sembra ci sia una cospirazione alle spalle, e molti vi diranno che c’è. In realtà non c’è nessuna cospirazione, ma semplicemente una realtà della vita: ottieni quello che paghi, e nessuno è disposto a pagare per un prodotto indistruttibile ed antieconomico produrlo.
Ciò non comporta che i “Poteri Forti” autodistruggano prodotti per costringervi a comprarli.
Il mito dell’obsolescenza programmata nacque dalla teoria di Albert Sloan Jr., dirigente della General Motors a cui viene attribuita l’obsolescenza programmata stessa anche se era stato uno dei precursori di una teoria straordinariamente moderna.
Per vincere la contrazione dei consumi dovuta alla Grande Depressione, propose di tirare fuori un modello di auto l’anno, anche con minime differenze e anche se apparentemente controproducente.
Lo scopo era creare “Cambiamenti così repentini e attraenti da creare domanda, e fomentare insoddisfazione verso i modelli precedenti”. Non si parla di “prodotti che si rompono”, ma del fenomeno per cui ancora adesso all’uscita del nuovo modello di iPhone il modello precedente, che magari avete comprato con enormi sacrifici o a colpi di finanziamenti e prestiti e del quale eravate orgogliosi fino al giorno prima diventa motivo di imbarazzo tale da spingervi a cercare di cambiarlo col modello dopo.
Ma a questo punto siamo di fronte ad un concetto diverso: non un complotto per costringervi a buttare oggetti nuovi e destinati a rompersi ma l’uso della FOMO, la “Fear of Missing Out”, la “Paura di essere lasciati fuori dalle novità” contro di voi.
Un altro elemento è il c.d. “Cartello Phoebus”, col quale i principali produttori di lampadine negli anni ’20 e ’30 stabilirono standard di efficienza e durata della lampadina, creando uno standard uniforme di lampadine più luminose, ma certificate per 1000 ore di funzionamento anziché 2000 ore.
Il che ci porta al secondo punto e al terzo della falsa credenza.
Tra gli anni ’80 e ’90 si diffuse in Giappone la leggenda che il famoso produttore di elettronica SONY avesse deliberatamente inserito nei suoi dispositivi un “killer switch” per causarne la rottura in tempi brevi.
Mito che tornò periodicamente come “giustificazione” per ogni singolo difetto di produzione dall’inizio della storia di SONY ad oggi, come il richiamo di un lotto di batterie usate sui portatili Vaio, un baco nel firmware di alcuni televisori Bravia che colpiva arrivati a 1200 ore di visione (che postulando un uso “parco” della TV diluito in due anni arriva quasi alla garanzia) e il fatto che i sistemi di protezione anticheat delle console Playstation richiedono un controllo sulla data che, fino all’ultima revisione del 2021 che corregge il difetto, richiedeva accesso ad Internet o una batteria tampone sana e quindi poteva dare problemi in caso di mancata connessione e batteria tampone usurata.
Tutte occorrenze sconnesse tra loro legate dal “bias di conferma”: una volta deciso che “le ditte vogliono costringerci a comprare prodotti rompendo quelli che abbiamo e la kasta glielo fa fare”, ogni evento diventa una profezia autoavverante.
In realtà esiste un compromesso tra costo e durata, sin da tempi più antichi di quanto pensiate.
Ipotizzate vi sia offerto un cellulare indistruttibile, impermeabile, con una batteria in grado di durare cicli e cicli, quindi decenni senza mai essere cambiata e aggiornamenti per anni ed anni.
Però tale cellulare vi costi 4000 euro.
Probabilmente continuereste a comprare un cellulare standard, basandovi sul fatto che tanto “prima o poi lo cambierete”.
Estendete alle automobili, agli elettrodomestici, persino al computer che avete ora: ogni acquisto è un compromesso descritto nel rapporto qualità/prezzo, e rispetto al passato pre-industriale gli oggetti del desiderio odierno sono entità complesse piene di parti destinate al logorio per natura.
Le batterie ricaricabili perdono capacità di ricarica nel tempo, come abbiamo visto nella rubrica dedicata al retro i condensatori ed altre componenti invecchiano, i cellulari “rugged”, ovvero costruiti con standard di robustezza più elevati esistono ma vendono meno delle loro controparti in quanto più “sgraziati” e costosi rispetto a controparti meno robuste di eguali o superiori prestazioni ed eccetera.
Comprando un’automobile, ad esempio, ogni dettaglio, compreso il numero di aperture dei portelli, è parametrato non su una presunta “immortalità del veicolo” ma su una lunga vita dello stesso: non paghereste mai cifre da “supercar” per un’utilitaria che vi sopravviva.
In un sistema di tale complessità è possibile che arrivi sul mercato un lotto di batterie danneggiate, o che dare retta al “cugino informato” che vi dice di evitare gli aggiornamenti software causi più problemi di quelli che si vuole evitare.
Cosa che non significa un complotto internazionale “per fregarvi”.
Riassumendo i tre punti, non esiste una vera e propria “obsolescenza programmata” nel senso di un timer per danneggiare i prodotti, ma campagne pubblicitarie aggressive che popolarizzano il “nuovo modello” rendendo il “vecchio modello”, ancora utilizzabile, un oggetto considerato fuori moda e poco stimati, esiste un bilanciamento tra i costi necessari a produrre un prodotto duraturo e un prodotto alla portata delle tasche di tutti e l’elettronica moderna è piena di parti consumabili.
Il vero problema è tutto qui: compagnie come iFixit ricordano che proprio per questo è necessario il “diritto a riparare”.
Una volta che l’utente si è liberato della forma mentis contorta per cui “nuovo è sempre meglio”, una volta accettato che non c’è vergogna nell’avere il penultimo o terzultimo modello di cellulare o una auto a chilometro zero, è essenziale consentire riparazioni facili e la sostituzione dei consumabili.
Vanno in questa direzione obblighi legislativi come la richiesta Europea di avere solo cellulari con batterie facilmente sostituibili dal 2027.
Pur non essendo tecnicamente obsolescenza programmata, rendere malagevole la sostituzione delle batterie o, peggio, rendere necessario (vedi dispositivi iPhone, bacchettati da iFixit) la “calibrazione” di molte parti sostitutive dal produttore significa di fatto tagliare fuori la rete dei laboratori indipendenti e rendere antieconomica la riparazione di dispositivi datati.
Compagnie virtuose come Fairphone producono già prodotti con elevato indice di riparabilità, e scartabellando per il portale di iFixit troverete indici simili anche per portatili e simili.
Se i vostri dispositivi “si rompono appena fuori garanzia” è assai probabilmente un caso e non esiste un complotto per “romperli da remoto”. Esiste però un “diritto a riparare”, che dovrebbe portare a privilegiare prodotti facili da riparare in caso di danno.
In questo senso campagne europee come l’introduzione del caricabatterie unico e della batteria removibile dall’utente vanno nella direzione giusta.
Foto di copertina: Electronic Repair Services, E. Nichizenova, Canva
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