Scusate la franchezza perché in questo caso ci vuole: il post del sacrificio della mamma cervo che state condividendo è un fake. L’esistenza stessa di quel post e varianti simili offende profondamente l’autore dello scatto.
Trasforma un evento naturalistico in una specie di grottesco apologo della “maternità” venuto male, nel quale, a caso, viene buttato lo stigma della depressione e del disagio mentale in un modo che ha disgustato una fotografa che ha visto un impala sbranato da tre ghepardi.
Tanto dovrebbe bastarvi a capire perché sia profondamente sbagliato continuare a condividerlo.
Partiamo dalle basi: citando Luke Skywalker in “Gli Ultimi Jedi” ogni parola di quanto contenuto nel post che ci è stato segnalato è sbagliata, e persino il modo in cui la foto è stata riportata.
Innanzitutto potremmo chiederci che ci fa un cervo nella savana, e risponderci dichiarando che quello è un impala.
Ma questa sarebbe solo la parte più evidente di una serie di fake news esecrabili.
Nella narrazione nazional-popolare proposta nella condivisione italiana, e diverse condivisioni in lingua inglese precedenti infatti viene presentata la storia strappalacrime e acchiappaclick di una mamma cervo che, esibendo sentimenti umani, si immola per farsi divorare dai dei ghepardi cattivi guardando i suoi cuccioli che corrono felici verso la libertà.
In realtà nello scatto della fotografa Alison Buttigieg viene ritratta una storia del tutto diversa, come da lei precisato nel suo fotoblog.
Siamo in Kenya nel 2013, nella riserva faunistica di Masai Mara.
Narasha, una femmina di ghepardo è a caccia di impala coi suoi cuccioli, ormai quasi adulti. I ghepardi “imparano dall’esempio”: seguendo esemplari adulti nella caccia, perfezionano le tecniche di predazione.
Nonostante l’esemplare di impala sia paralizzato dal terrore, inizialmente i giovani esemplari riescono ad abbrancare e fermare l’impala, ma non si dimostrano in grado di poterlo strangolare.
Narasha interviene stritolandone il collo con le sue fauci e la famiglia riesce a nutrirsi, nella versione animale di “non si può giocare col cibo”. E qui nascono i problemi.
Avrete notato che noi abbiamo usato solo una sezione della foto col post principale e un watermark a coprirla: Alison Buttigieg non ha mai dato a nessuno dei condivisori social consenso all’uso della sua foto.
Le foto di Buttigieg possono essere usate previo contatto con lei e senza rimuovere il suo watermark
Cosa che tutti coloro che hanno condiviso la storiella strappalacrime della cerva che si immola per i cuccioli hanno fatto, probabilmente per intestarsi il merito della “creazione” e per evitare che la Buttigieg intervenisse.
Inoltre, cosa che ha enormemente infastidito la stessa, la storia millanta che la fotografa sia caduta in depressione a causa dello scatto. Per citare le sue parole
La mia foto intitolata Stranglehold è diventata virale con una storia falsa completamente ridicola che l’accompagnava, e le implicazioni per cui sono caduta in depressione dopo averla scattata (sul serio, chi ha inventato queste stron*ate?!?) – per non parlare delle grossolane violazioni del copyright. Il sensazionalismo al suo meglio: una completa finzione per ottenere più like sulle proprie pagine. La foto con la storia falsa è stata condivisa centinaia di migliaia di volte su vari social media.
Vengo sommersa da centinaia e centinaia di messaggi che mi chiedono se sono io il “fotografo depresso”. Sono stata taggata su LinkedIn con la storia falsa – questo sì che aiuterà la mia carriera. Che mondo ignobile quello in cui viviamo, pieno di stupidi creduloni che diffondono #fakenews come pazzi.
Per mettere le cose in chiaro, la storia vera si trova qui: http://www.alisonbuttigieg.com/cheetahkill/
Dando ai colleghi di AFP il consenso di usare la foto integrale per smentire la notizia, la Buttigieg ha anche aggiunto
“Sono senza parole per la parte relativa alla depressione. Inventare una dichiarazione di malattia mentale per rendere una storia più virale è insensibile nei miei confronti (mi ha causato problemi sul posto di lavoro) e nei confronti delle persone che soffrono di questa malattia”.
Riassumendo, siamo di fronte ad una storia etologicamente falsa, pari solo alla storiella della “lupa che si sacrifica per il suo maschio” (in realtà uno scatto con due lupi maschi che si azzuffano sbattendo su un terzo maschio che passava per caso) e dello “squalo femmina innamorato del pescatore uomo”.
Tentativi di clickbait ulteriormente macchiati dal plateale disprezzo per il copyright e per l’autrice, la quale continua a subire conseguenze negative sul lavoro e riferisce di non riuscire ad arginare la diffusione della fake news perché, come da lei rimarcato, quando chiede la rimozione del contenuto falso viene subissata di insulti ed aggressioni.
Aggiungere condivisioni non aiuta la situazione, e vi invitiamo a smettere immediatamente.
Il post del sacrificio della mamma cervo è un fake odiato dall’autore della foto, la fotografa Alison Buttigieg, che da anni chiede di cessare una condivisione che la danneggia sia economicamente che lavorativa che moralmente, inventando una malattia mentale che ella non ha in modo offensivo per lei e per chi combatte con la depressione.
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