Il paradosso del gamer: un terzo dei giocatori maschi sceglie personaggi femminili, ma poi si lamentano tutti di Zelda
Un terzo dei giocatori maschi sceglie personaggi femminili ove possibile: questo il risultato di uno studio/analisi di Quantic Foundry del 2021. Basato, quantomeno, su un campione maggiormente rappresentativo del vero e proprio “pseudostudio sulla superiore intelligenza del PC Gamer” redatto da produttori di giochi d’azzardo online.
Nonostante questo, il paradosso per cui un terzo dei giocatori maschili sceglierà personaggi femminili e, contemporaneamente, si farà partire l’embolo perché Legend of Zelda: Echoes of Wisdom mostra Zelda che salva Link e non viceversa spiega espressamente perché questa non è la buona notizia che potrebbe sembrare.
Anzi, da un certo punto di vista spiega come l’ambiente del gamer tipico sia ancora la “festa della salsiccia” sponsorizzata da 4chan col Gamergate alle spalle.
Il paradosso del gamer: un terzo dei giocatori maschi sceglie personaggi femminili, ma poi si lamentano tutti di Zelda
Ribadisco comunque: lo studio ha dei limiti. Minori dello studio sulla “superiore intelligenza del gamer da PC”, quantomeno in questo caso il campione è ben giustificato e il bias è evidenziato, ma ancora una volta invito ad una certa cautela.
Un terzo dei giocatori maschi sceglie personaggi femmili: e ricordiamo come negli anni ’90 c’erano giocatori che sceglievano Chun-Li in Street Fighter in un mondo in cui i primi giochi con personaggi chiaramente femminili venivano esportati con un “cambio di genere”, vedi “Ninja Princess” di SEGA dove i personaggi maschile e femminile si scambiano di posto a seconda dell’edizione e Kurumi-Hime diventa il personaggio principale nell’edizione giapponese e la damigella da salvare nell’edizione internazionale, scambiandosi di posto con lo spasimante Kazamaru.
Ed esiste un 7% di personaggi maschili pilotati da giocatrici. Le direttrici che controllano fenomeno sono molteplici, e non si discostano dai tempi in cui Roby Gard fu costretto dai fatti a difendere la sua scelta di creare Lara Croft (Tomb Raider) con un pitch assurdo in cui spergiurava che i giocatori di tutto il mondo avrebbero fatto a gara per giocare controllando una gnocca assoluta, una gnocca con un gran cervello e una gnocca che non farà vergognare i giocatori di essere solo una ragazza (e sto citando dal pitch, espressamente).
Lo stereotipo di genere nella scelta
Sostanzialmente, secondo lo studio il giocatore che scegliere un personaggio femminile lo identifica con la creatività e personalizzazione.
Sostanzialmente crea il personaggio femminile con lo spirito con cui giocherebbe con una Barbie, ovvero immaginando la stessa in diverse situazioni e usando le opzioni di customizzazione tipiche di ormai tutti i giochi per agghindarla nel ruolo.
Il personaggio masschile viene creato con l’obiettivo della distruzione: si sceglie il personaggio maschile, lo si immagina possente e pronto a spaccare tutto, ci si fomenta nello spaccare tutto. Fine.
Lo stereotipo nella fruizione
Di fatto, per il giocatore maschio tipico, la scelta di un personaggio femminile è una scelta di fruizione, in un certo senso possesso.
Interpellati in un contesto pubbblico come le community gamer, buona parte dei giocatori contattati da Quantic Foundry avevano una risposta pronta quanto poco gradevole e quanto legata al pitch di Gard degli anni ’90:
“Se devo passare diverse ore a guardare un cu*o, almeno voglio che sia gradevole”
Gli autori dello studio ammettono di ignorare quanto la risposta sia stata dettata dalla pubblicità della stessa: anche nel secondo caso saremmo di fronte ad un caso perdurante di sindrome dello spogliatoio.
Il giocatore maschile sceglie il personaggio femminile perché la società gamer in cui vive considera socialmente accettabile, anzi incoraggia creare un personaggio femminile.
Ma incoraggia crearlo per le ragioni sbagliate: torniamo quindi al paradosso.
Se Nintendo ti mette davanti Zelda nelle vesti di una salvifica eroina, e la Principessa Kurumi che dismette le ricche vesti del suo castello per indossare gli abiti logori della kunoichi e salvare il suo popolo (e già che si trova, l’amato Kazamaru), in un qualche modo il giocatore si ritrova davanti ad un personaggio con agenzia autonoma rispetto alla sua.
Se il giocatore invece ha “una tela bianca da colorare”, il personaggio femminile diventerà una protesi del suo desiderio.
Cosa evidente nel momento in cui gli abiti di gioco sono presentati come unici, ma sessili.
La “versione femminile” tenderà ad essere fortemente sessualizzata, diventando non già un abbigliamento pratico o utilitario, ma quello che un ipotetico giocatore maschio “vedrebbe bene” su un personaggio femminile, diventando spesso irriconoscibile rispetto all’originale
Lo studio ipotizza anche una certa “valvola di sfogo”: laddove nella società gamer l’esplorazione dell’identità di genere potrebbe essere percepita come un’infrazione delle “regole non scritte di machismo” nella stessa, l’alibi del “Eh, ma io voglio guardare una bella donna e controllarla tutto il tempo mentre gioco” riporta un celato istinto di esplorazione nei binari tradizionali di genere, anzi inchiodandoceli.
In quest’ultimo caso la scelta può confondersi con l’effetto Proteo: controllare un avatar percepito come socialmente attraente, rende attraenti nel mondo virtuale e funge da modificatore reale dell’autostima del giocatore.
Creando anche intersezioni tra i due temi, come il pacchetto Operatrice Nicky Minaj per Call of Duty che consente in un gioco altrimenti realistico di frequentare un campo di battaglia pilotando la nota popstar inguainata in una tutina aderente e rosa shocking piena di giberne con armi di ogni tipo.
Il catfishing e lo stereotipo
Un giovane e adolescente Benjamin Franklin, allo scopo di ottenere la pubblicazione di lettere aperte di satira sociale e consigli di galateo, inventò dal nulla il personaggio dell’avvenente vedova Silence Dogood.
Si tratta del catfishing: inventare un’identità virtuale diversa da quella reale per ottenere concreti vantaggi.
In un gioco online un giocatore potrà creare un avatar femminile, e mentire o occultare la sua identità, capitalizzando sul fatto che altri giocatori possano invitarlo in gilde e gruppi virtuali cercando di “impressionare la nuova arrivata”, stante l’ambiente (come avrete intuito) ancora ostativo rispetto alla parità di genere e per quella sviata galanteria che diventa autentico tacchinaggio, spingendosi a fornire vantaggi di gioco.
Oppure, avere un vantaggio psicologico presentandosi nei giochi PvP (“Giocatore contro Giocatore”) in una forma percepita come tradizionalmente più lontana dall’universo videoludico, ghettizzata e quindi dando l’illusione di essere “meno abili” e sottovalutabili.
Conclusioni
Sia pur nei limiti forniti dal metodo, lo studio dimostra come la stessa generazione pronta a creare personaggi femminili o cresciuta cantando Amami Lara di Eugenio Finardi possa voler osteggiare giochi come Echoes of Wisdom.
E dimostra, se ce ne fosse ancora bisogno, che l’inclusività e la parità di genere nel mondo videoludico, oseremmo dire ICT, sono un lavoro ancora in corso.
A latere ma collegato al concetto di inclusività, lo studio dimostra che bisogna scendere di età fino alle Generazioni Z e Alpha per vedere accettato un personaggio non binario, opzione peraltro non prevista in molti giochi (Animal Crossing New Horizons, il “Gioco ufficiale della Pandemia”, era tra questi).
Immagine di copertina tratta da Reddit.
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