Editoriale

Il New York Times ha raccolto nuove testimonianze sui massacri di Bucha

Il New York Times ha raccolto nuove testimonianze sui massacri di Bucha: l’elefante nella stanza che le “fonti russe” negano.

Che qualcosa non quadri a Bucha l’avevamo notato: l’epicentro di uno degli atti più brutali di una guerra pregna di brutalità. Ed anche l’epicentro di una costante propaganda russa basata sul negare, negare dinanzi all’evidenza. Prove satellitari? Cadaveri per strada?

Ovviamente gli americani mentono, il mondo mente, sono tutti cattivi, “fonti russe” dichiarano che i morti non erano morti, erano attori, anzi manichini, anzi gli Ucraini hanno “piantato” dei cadaveri per fare fare brutta figura ai soldati Russi.

Soldati russi che, nonostante registrazioni in senso contrario, sono dei liberatori amati dalla folla che non hanno mai compiuto stupri, non hanno mai torturato nessuno, non hanno mai telefonato a casa per confessare con gioia di aver fatto “scoppiare gli organi interni a bastonate” ad un civile di mezza età accusato di essere una spia.

Ma ora viviamo in un mondo globale. Il mondo dove è già in corso in Ucraina il processo al primo soldato russo, che rischia l’ergastolo per aver ucciso un civile disarmato su ordine di un superiore e si trincera dietro il noto “Ma io obbedivo agli ordini”.

Dove si cominciano a raccogliere all’estero le preziose testimonianze dei profughi allo scopo di cristallizzarle in modo da poter sanzionare i responsabili dopo la fine del conflitto. Testimonianze definite come drammatiche.

Torniamo a Bucha, dove il New York Times ha ricevuto prova dell’esecuzione di almeno otto cittadini ucraini, tutti civili, in un sobborgo di Kiev.

Le immagini sono abbastanza crude. Vi invitiamo per gli interessati a guardarle cliccando sul video. Non faremo TV del dolore, vi lasceremo la scelta consapevole di guardarla.

Il New York Times ha raccolto nuove testimonianze sui massacri di Bucha

Riporteremo ora quanto contenuto nei video. Soldati russi trascinano via, con la minaccia delle armi, un gruppo di prigionieri. Tutti civili, costretti in una catena umana.

I soldati li scherniscono, “Camminate a destra, pu**ane**e!” urlano, per poi costringere gli uomini ad inginocchiarsi, i fucili puntati alle loro teste.

Non saranno mai più rivisti vivi.

Il seguito della storia è stato raccontato da otto testimoni. Potete immaginarlo faacilmente: colpi di pistola, sangue, quegli uomini non torneranno mai più a casa, i loro corpi tra i cadaveri nelle fosse comuni o gettati per le strade devastate, spesso anche minati.

E per gli increduli, è stato confermato un giorno dopo da un drone.

Cliccando sul link indicato vedrete la ripresa: i corpi erano ancora lì, dove i testimoni hanno dichiarato di averli visti l’ultima volta.

Difficile mentire all’occhio freddo e glaciale di un satellite, alla precisione di un drone.

Difficile, nonostante la censura dei media in Russia, impedire ad un giornalista determinato di ricostruire la rete dei contatti dei caduti per dare loro un nome e un’identità.

Possiamo anticipare per i non anglofoni gli ovvi risultati della vicenda. L’identikit tipico della vittima russa è composto da padri di famiglia e mariti, operai e commercianti della zona.

Tutte persone che a causa della coscrizione obbligatoria e della chiamata alle armi non potevano lasciare l’Ucraina, in attesa di essere chiamati nell’esercito.

Civili dunque. Molti di loro si erano uniti a milizie di difesa, in Italia li avremmo chiamati partigiani.

La Propaganda del Cremlino ama definirli “nazisti da picchiare a bastonate fino a fargli scoppiare gli organi“.

Ogni vittima ha ora un nome. Ogni atrocità una descrizione.

Non solo video e testimonianze

Ammettiamo che la propaganda russa abbia ragione. I “nazisti” siano in grado di falsificare le foto e i video dei satelliti, i testimoni Ucraini dicano tutti una stessa versione falsificata come una mente alveare dovuta alla delegittimazione dell'”operazione speciale”.

Del resto, gli Ucraini sono dei cyborg dominati dalla magia nera, parola di “fonte russa”. Quindi il fatto che le testimonianze di persone diverse raccolte anche in momenti diversi convergano e coincidano con i rilievi satellitari e audivideo potrebbe spiegarsi con la magia.

La magia non spiegherebbe come mai tutti i luoghi delle atrocità descritte siano pieni di cartucce calibro 7.62x54R, usate nei fucili Dragunov e nei mitragliatori della serie PK ereditati dall’esercito Russo dalla passata gestione sovietica.

Non spiegherebbero le foto di razioni alimentari Russe consumate, e le bolle di consegna di armi per le unità del 104mo e 234mo reggimento delle forze Aviotrasportate Russe.

E non leniscono il dolore per la ricerca dei civili “dispersi” che riappaiono nelle fosse comune o negli angoli delle strade.

Copertina tratta da NYT, scena ritratta da drone

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