“Il mistero delle fibre che si muovono nelle mascherine” fa ormai parte dei grandi Gialli del Complotto.
A volte invidiamo la meraviglia che prova chi si approccia a nuovi misteri con l’arroganza di chi è convinto di conoscere ogni cosa e si stupisce urlando al complotto dinanzi alla novità.
Ci siamo stupiti guardando un servizio “stile Striscia” dove una voce concitata, con tanto di ospiti “inviati” scopriva l’esistenza dell’ossidazione dell’emoglobina in un piatto di carne trita.
Abbiamo accolto con lo sguardo stupito della morte a Samarcanda la scoperta da parte dei complottisti delle proteine insolubili nel tonno (arricchita dalla scoperta che “insolubile” significa “che non si scioglie in acqua”) e del glutine nei prodotti di panificazione.
Con l’arrivo della pandemia siamo stati non meno basiti nell’assistere alla scoperta complottista che un test rapido basato sul sangue umano non reagisce allo stesso modo con liquidi diversi dal sangue.
E la sorpresa è tale perché diamo per scontato non solo che tutti abbiano un bagaglio di conoscenze tale da navigare nel mondo, ma le competenze e le capacità per usarle in concreto e l’umiltà di ammettere che sapere è poca cosa se non sai applicare le dette conoscenze.
Quindi siamo arrivati al nuovo scoop: il mistero delle fibre che si muovono nelle mascherine
Un video in una lingua straniera, evidentemente dell’est Europeo, nel quale viene ritratta una cucina. Ci sono bottiglie di olio e brocche usate come sostegni, e una mascherina viene poggiata sopra un recipiente pieno di acqua bollente.
Una colonna di vapori ad altissima temperatura si sprigionano dal recipiente, e in poco tempo si vedono delle fibre scurirsi e muoversi debolmente nella mascherina.
Il mistero è anche in questo caso di pronta risoluzione.
Le mascherine chirurgiche attuali sono fatte di polipropilene, un polimero termoplastico, ovvero che viene lavorato ad alte temperature.
Diciamo attuali perché nel secolo passato hanno raggiunto la loro forma attuale: agli inizi del secolo passato si usavano numerosi strati di cotone (rendendole simili alle “mascherine di comunità” o “compassionevoli” che usavamo quando al principio della pandemia la scarsità delle mascherine in vendita suggeriva di prioritizzare la fornitura a medici e forze dell’ordine).
In seguito si sono usate fibre tratte dalla lana di vetro: solo col crescere delle competenze tecniche siamo arrivati alla forma attuale, tessuto sintetico e anallergico in polipropilene.
Ovviamente, il Polipropilene viene lavorato ad alte temperature, e, sottoposto nuovamente ad alte temperature perde parte delle sue proprietà.
Le fibre si deformano, quindi si “muovono” se gettate nell’acqua bollente o esposte in modo prolungato a getti di vapore ustionante. Alcune fibre si “scuriscono” per effetto della grande temperatura, eventuali impurità presenti nell’aria e depositate nel momento in cui la mascherina è stata manipolata per l’esperimento vengono esposte, la mascherina si deforma e perde le sue caratteristiche.
Questo è del tutto normale: il polipropilene non resiste alle alte temperature.
Tale esperimento riporta in vita nel mondo del complotto uno dei complotti vintage più antichi: la sindrome di Morgellons.
La teoria, definita dalla scienza medica un caso di “parassitosi allucinatoria” secondo cui non meglio precisate “fibre chimiche”, che alcune diramazioni della teoria vogliono prodotte dalle scie chimiche e altre vorrebbero essere nanomacchine o insetti misteriosi, si depositerebbero nelle ferite ed altre lesioni riscontrate in determinati soggetti.
Questa teoria in passato suscitò anche una serie di comportamenti autolesionisti, come ustionarsi volontariamente il cavo orale con beveroni di acqua ossigenata e vino rosso per poi “sputare morgelloni freschi” dalla bocca.
Il focus si è semplicemente spostato dalle scie chimiche alle mascherine.
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