Il Mercato arriva in Dungeons and Dragons: il business uccide la fantasia
Il Mercato arriva in Dungeons and Dragons: i fan temono le conseguenze. Questo il riassunto delle controversie, per ora rientrata ma in futuro non si sa, sulla OGL 1.1.
Siccome per molti è un concetto alieno, parleremo della vicenda partendo dall’inizio.
Il Mercato arriva in Dungeons and Dragons: il business uccide la fantasia
Dungeons&Dragons, il gioco di ruolo più famoso al mondo, codificatore dell’intero genere (nel senso di capostipite e datore delle regole), creato da Gary Gygax e Dave Arneson nell’ormai lontano 1974 è sopravvissuto indenne a molte cose.
Le sue origini sono sospese a metà tra il “wargame”, giochi di simulazione militare con miniature e la grande esplosione del genere Fantasy a cavallo tra le due guerre mondiali, con Tolkien (Lo Hobbit, il Signore degli Anelli), Moorcock (Il ciclo di Elric di Melniboné) ed Howard (la saga di Conan il Barbaro) pronti a donare, non sempre in modo legalmente diretto (gli eredi di Tolkien più volte chiesero di non usare direttamente razze e concetti Tolkeniani, che furono sostituiti con generici equivalenti).
Il risultato era una piccola scatola con dei manualetti, guide per crearti la tua avventura in casa. Attraverso varie edizioni succedutesi nel tempo, un cambio di proprietà da Gygax alla ditta di produzione giochi da tavolo e di carte Wizards of the Coast, il nucleo di base del gioco non è mai cambiato.
Un gruppo di giovani (o meno giovani) si riuniscono intorno al tavolo. Usando uno dei manuali o delle “espansioni” autoprodotte o reperibili online uno di loro, il “Gamemaster”, il “narratore” racconta una storia a sfondo fantasy.
Gli altri giocatori, grazie agli altri manuali, creano dei personaggi che interpreteranno la storia. Una combinazione di tiri di dadi, incantesimi, abilità e regole daranno vita ad una storia interattiva e realistica nella sua irrealtà prima che il termine interattivo avesse l’accezione moderna.
Vi risparmiamo tutte le regole, che spiegate sembrano meno intuitive di quello che in realtà sono: con un tiro di dadi potrai scoprire se la tua freccia andrà a segno, quanto bene funzionerà il tuo incantesimo e simulare gli effetti della sorte in una grande battaglia dove vittoria e sconfitta dipendono sia dall’abilità che da un pizzico di fortuna in più.
Dungeons&Dragons negli anni è sopravvissuto a molte cose: improbabili accuse di satanismo da gente convinta che gli incantesimi contenuti nei manuali fossero veri, e satanici, il passaggio citato da gioco “amatoriale” a grande proprietà intellettuale, le accuse di “cedere al movimento woke” per aver rimodulato il concetto di “razze” in “stirpi” promettendo di evitare di offrire schemi in cui la determinata stirpe è “luogo di malvagi” offendo la possibilità di orientamenti morali complessi a tutti i personaggi.
Quello che ha rischiato di affondare, almeno negli occhi del giocatore, il franchise è l’ingresso del Business.
L’ingresso del Business e la Open Game License
Una indiscrezione inizialmente riportata (e con sollievo, smentita) da Gizmodo riportava una nuova “Open Game License”.
Fino a questo momento, coerentemente con un gioco di ruolo nato dalla somma di tutto l’immaginario Fantasy degli anni ’70 e ’80 (stratificato, come abbiamo visto, dagli anni ’20 almeno), non vi era dubbio che chiunque potesse produrre contenuti ispirati al mondo di Dungeons&Dragons.
Mondo che col tempo si è arricchito: “campagne individuali” (ovvero storie codificate) dei vari giocatori, videogames per le principali console, piattaforme arcade e computer dell’epoca, una serie animata… finché nel 2000 si è arrivati alla Open Game License.
Il “tacito accordo” finalmente codificato in modo da consentire la nascita di molti piccoli e medi editori, ma anche di creatori individuali di romanzi, carte, altri giochi, videogiochi e contenuti di ogni tipo ispirati a D&D.
Cosa è cambiato nei trenta anni dal 1970 al 2000 ai ventitrè dal 2000 ad oggi?
La corsa di Dungeons&Dragons non si è mai fermata, anzi con un film imminente, una pandemia a riesumare molti interessi “vintage” per tenere impegnata la mente in una forzata cattività e un generale ritorno al passato ora che i ragazzini degli anni ’70 e ’80 sono uomini e donne fatti e finiti e con soldi da spendere per rivedere i giochi della loro infanzia il 2020 è stato l’anno d’oro del franchise.
L’estrema libertà pare sia ora percepita come il tallone di Achille del Franchise: se chiunque può creare materiale su Dungeons&Dragons, Wizards of the Coast smette di tirare a strascico i soldoni.
Si è così vociferato di una nuova OGL: non più una licenza libera, almeno in buona parte, ma fortemente limitata per i progetti commerciali di ogni natura.
La spiegazione fornita nel documento è semplice e lapalissiana: nel 2000 non erano diffuse cose come PDF e distribuzione online. Non come ora almeno.
Se la OGL originale era nata per dare una forma stabile al tacito patto tra creativi di tutto il mondo e detentori dei diritti, ora il rischio è che altre ditte facciano profitto sul brand Dungeons&Dragons, usandone intuizioni e creazioni.
Peccato veniale, specie con un film al cinema e tante occasioni per monetizzare.
Dopo una rivolta di diverse case editrici e il pubblico la OGL “rivista e corretta” è stata ritirata, smentita come un “documento provvisorio” che non sarà mai reso definitivo.
Intanto il Vaso di Pandora ormai è aperto: per quanto tempo un universo narrativo che consente ad altri di arricchirlo, anche guadagnandoci qualcuno sopra, sarà sostenibile in un mercato che ormai vede anche la fantasia come prodotto di compravendita?
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