“Il lavoro rende liberi” in un manifesto del 1° maggio comparso a Martina Franca, l’origine della frase
Un articolo pubblicato su Martina News ci mostra un manifesto comparso a Martina Franca (Taranto) nel quale era ben visibile la frase “Il lavoro rende liberi” accompagnata dalla citazione di un articolo della Costituzione Italiana.
Le reazioni
Una volta diffusi i manifesti, stampati e affissi per celebrare la giornata del Primo Maggio, si sono scatenate le polemiche. Tra i più increduli troviamo lo scrittore Donato Carrisi che in un post su Facebook spera a gran voce che si tratti un fake. Sulla vicenda è intervenuto anche il segretario del Partito Democratico di Martina Franca con un post:
Come Segretario Cittadino del Partito Democratico, Partito che Governa la città, non posso che rimanere quantomeno sorpreso dalla scelta di utilizzare, da parte dell’Amministrazione, per celebrare la ricorrenza della giornata dei lavoratori, una frase che riporta alla mente il periodo più buio che la storia dell’uomo abbia conosciuto.
Sono convinto che la cosa sia stata fatta senza retro pensiero alcuno e sia frutto solo di superficialità; chi si occupa di comunicazione deve essere più attento per evitare di creare inutili imbarazzi e responsabile nel rispetto della storia, della cultura e della memoria. Buon Primo Maggio!
Non è mancato, infine, il commento dell’ANPI di Martina Franca:
I manifesti che in questo Primo Maggio sono apparsi nella nostra città dimostrano quanto l’amministrazione comunale sia poco attenta nell’utilizzare determinate parole che, proprio per l’uso che se n’è fatto in tutti i campi di concentramento nazisti e ad Auschwitz, assumono ormai un significato preciso e tragico. È inaccettabile che proprio le istituzioni dimentichino la storia con tanta imbarazzante disinvoltura, soprattutto in questo momento in cui assistiamo ad uno sdoganamento dell’ideologia nazifascista e c’è bisogno di prestare particolare attenzione alle parole che si utilizzano. Inoltre, appare ancor più grave affiancare quella scritta ad un articolo della nostra Carta Costituzionale. Il concetto di LAVORO che è fondamento della nostra Repubblica democratica non appartiene alla stessa area semantica di quello utilizzato dai nazisti e che, secondo Primo Levi avrebbe dovuto avere questo significato: «Il lavoro è umiliazione e sofferenza […] la libertà che vi aspetta è la morte». Come sezione Anpi di Martina Franca chiediamo che il sindaco Franco Ancona dia una spiegazione su tale episodio e che faccia rimuovere immediatamente tutti i manifesti, non perché ci sia una legge che lo impone, ma come atto consapevole di aver sbagliato gravemente nel non riflettere.
Ci auguriamo che in futuro l’amministrazione comunale non perda l’attenzione e la lucidità in occasione di date importanti, così come avvenuto, purtroppo, anche in passato.
Il sindaco Franco Ancona, per il momento, non ha replicato.
Il manifesto
Nello specifico, il manifesto diffuso nella giornata del Primo Maggio riportava a grandi caratteri la frase “Il lavoro rende liberi”, che tutti conosciamo come sinistro monito dei campi di concentramento, e con caratteri più piccoli citava l’art. 36 della Costituzione Italiana:
Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
L’origine della frase “Arbeit macht frei”
Come fa notare Martina News nell’articolo che abbiamo citato in apertura, seppur la frase comparisse come macabra ironia sui cancelli dei campi di concentramento, non si tratta di un motto coniato dai nazisti. Nel parafrasare la sinistra frase, Primo Levi sottolineava quanto fosse chiaro il significato: «Il lavoro è umiliazione e sofferenza, e si addice non a noi, Herrenvolk, popolo di signori e di eroi, ma a voi, nemici del terzo Reich. La libertà che vi aspetta è la morte».
Tuttavia, come già anticipato, i nazisti non furono autori di quella frase. “Arbeit macht frei” era il titolo di un romanzo dello scrittore tedesco Lorenz Diefenbach, pubblicato nel 1872 e che raccontava la storia di una nobile signora, Elodie von Bentem, che si poneva l’obiettivo di superare ogni pregiudizio e ogni attitudine individualistica cercando nuovi stimoli nel mondo del lavoro. Parallelamente, il romanzo raccontava la vicenda di un giocatore d’azzardo e truffatore che, dopo aver trovato un lavoro regolare, scopriva il sentiero della virtù.
Con il lavoro, dunque, la signora von Bentem trovava guarigione dai pregiudizi e il truffatore trovava la retta via della vita onesta. Liberi, entrambi, dai loro limiti grazie al lavoro.
Le stragi avvenute nei campi di sterminio nazisti sotto il sinistro monito che recitava “Il lavoro rende liberi”, ovviamente, avevano oscurato il significato originale della frase, e per questo quando leggiamo “Arbeit macht frei” pensiamo subito ai lager nei quali morirono milioni di persone. Il gruppo progressive rock italiano Area, guidato da Demetrio Stratos, dovette fare i conti con accese polemiche quando nel 1973 pubblicò l’album “Arbeit Macht Frei” (quello di Luglio, Agosto, Settembre nero, ndr).
La frase, dunque, non fu conio dei nazisti, bensì era il titolo di un romanzo pubblicato nel 1872 da Lorenz Diefenbach che di certo non dispensava l’odio che Hitler avrebbe inoculato tra le genti qualche decennio dopo. Tuttavia è più che comprensibile lo sgomento scatenato dal manifesto comparso per le strade di Martina Franca, ma siamo qui solamente per precisare che quella frase non fu inventata dai nazisti.
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