Il Governo Peruviano classifica le persone trans tra gli affetti da disturbi mentali: questa la notizia che desta un forte scalpore.
Se chiedi alle parti in causa, nessuna intende discriminare le persone trans, nessuna. Ma ovviamente fosse anche una fictio iuris una simile classificazione rischia di diventare una forte arma mediatica verso chi dell’omotransfobia fa l’unica ragione di comunicazione online.
Se chiedi al Ministro della Salute Cesare Vásquez, la nuova classificazione ha lo scopo di “garantire la piena copertura delle cure mediche per la salute mentale” garantendo categoricamente “il rispetto della dignità della persona e delle sue libere azioni nel quadro dei diritti umani, fornendo servizi sanitari a loro beneficio”.
Il problema è che il decreto, come è possibile leggere qui, fa riferimento all’ormai desueta classificazione ICD-10, che, letteralmente per mancanza di una categoria migliore, inseriva i disturbi relativi all’identità di genere tra i disturbi mentali.
Il che non significa come potrebbe pensare un complottista totalmente disinformato che per l’OMS il transessuale sia un malato di mente, ma che la disforia di genere può causare situazioni di disagio psicofisico, specialemente nella società attuale e quella ai tempi dell’ICD-10.
Di fatto i problemi psicofisici che una persona trans affronta sono, in buona parte per quanto attiene al disagio psicologico, provocati dal dover vivere una situazione di forte discriminazione che si innesta sulla transizione stessa.
Proprio per questo al momento di passare agli attuali ICD-11 le categorie che ICD-10 e quindi il decreto del Governo Peruviano considerava come disordini mentali sono state riclassificate nel capitolo salute sessuale.
Di tal modo si è potuto ricomprendere il supporto per coloro per discriminazione sociale, e vittime di costante violenza psicofisica per la loro apparenza e comportamento
Dalla lettura del decreto è evidente che il Governo stia ripercorrendo gli stessi passi degli ICD-11, ma restando al palo della nomenclatura superata e potenzialmente discriminatoria dello “standard precedente”.
Cosa che, ovviamente, ha cagionato feroci critiche nella comunità LGBTQ+ e coloro attenti ai problemi della salute.
Prova è il fatto che fonti governative negano che tale decreto possa aprire a “terapie di conversione” e tentativi di “curare la transessualità”.
Nonostante questo, interpreti come Percy Mayta-Tristan, Università di Lima concordano sul fatto che un linguaggio tecnicamente arretrato, retrogrado e con scarsa consapevolezza dei problemi della comunità LGBTQ+ sia pur non aprendo alle terapie di conversione di fatto attacca ad una intera comunità un appellativo che potrebbe pervenire proprio al risultato che si vorrebbe evitare.
Il Governo si rifà ad una superata classificazione della disforia di genere, relativa all’indice ICD10 e non ICD11, cercando, con ovvi problemi, di introdurre supporto medico-assicurativo per una serie di condizioni che in passato considerate come disordini mentali sono state riclassificate nel capitolo salute sessuale.
Per quanto l’intenzione espressa non sia discriminare, ma fornire supporto medico alle persone trans l’effetto risente del linguaggio desueto e potenzialmente discriminatorio.
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