Gira da qualche ora la voce secondo cui il governo avrebbe mandato i NAS a Mantova per effettuare controlli contro De Donno, il famoso pneumologo che sta portando avanti tutti i test del caso a proposito della cura al plasma contro il Coronavirus. Una tesi complottista, dopo che già nella giornata di ieri abbiamo provato a smontare il caso sul nascere in seguito alla presa di posizione tutto sommato “positiva” da parte di Burioni. E forse mal interpretata dal collega, ma quella è un’altra sulla quale non occorre tornare.
Importante capire bene come siano andate le cose, in modo che non ci si faccia un’idea sbagliata sulla presunta visite dei NAS a Mantova, presso l’ospedale dove lavora De Donno. La sua cura al plasma, ottenuta dai pazienti guariti dal Coronavirus, è diventata molto popolare sui social negli ultimi giorni, al punto che come riportato in precedenza abbiamo provato a gettare acqua sul fuoco in queste ore. Con tutta la prudenza del caso, Burioni non chiude ad un trattamento del genere.
Per comprendere come siano andate effettivamente le cose di recente, possiamo citare le stesse dichiarazioni di De Donno riportate da Il Mattino, con cui dovrebbe essere più chiara la situazione generale. Anche a coloro che stanno gridando al complotto, associando i NAS a Mantova ad una sorta di blitz voluto dai poteri forti affinché non si portasse avanti un discorso di questo tipo in ambito medico. Queste le parole del diretto interessato:
La conferma arriva dallo stesso Giuseppe De Donno, primario del reparto di pneumologia, che sta procedendo con la cura: «I Nas – ha detto – hanno fatto una semplice telefonata in ospedale per raccogliere sommarie informazioni su quello che stavamo facendo. Dopo quella telefonata non ho più sentito nulla e sono trascorsi alcuni giorni.
In sostanza, non vi è stata un’incursione dei NAS a Mantova stile film dazione per fermare De Donno e la cura che propone con il plasma contro il Coronavirus, ma solo una telefonata.
AGGIORNAMENTO:
Dopo aver parlato con il redattore, si è chiarito l’equivoco sulla frase “donna incinta/paziente covid”. Come riporta anche la gazzetta di mantova:
Anche il direttore generale Raffaello Stradoni conferma che i Nas si sono interessati alla vicenda della donna incinta guarita con il plasma. «No so perché i Nas abbiano chiamato ma sono totalmente tranquillo. Il protocollo sulla sperimentazione è rigido e consente il trattamento solo su alcuni pazienti che devono avere certi criteri. So che la gestante in questione non rispondeva a queste caratteristiche, ma era molto grave e rischiavamo di perderla, per cui abbiamo somministrato la cura off-label, in ambito compassionevole e l’abbiamo salvata. Non mi risulta comunque che i carabinieri del Nas abbiano sequestrato le cartelle cliniche, hanno solo fato una telefonata». Il protocollo sull’uso del plasma iperimmune ricco di anticorpi donato da pazienti guariti dal coronavirus prevede che la somministrazione sia consentita in caso di seri problemi respiratori e su una determinata categoria di pazienti. «Non comprende le donne incinte – chiarisce ancora Stradoni – ma quel caso rischiava di finire male e quindi abbiamo proceduto e abbiamo salvato una vita, anzi due. Per noi è tutto regolare».
La frase era intesa sulle persone che rientrano in questo tipo di sperimentazione e la gestante non rispondeva a queste caratteristiche da qui la frase (male espressa) del redattore che “si trattava di una donna incinta e non di un paziente covid”.
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