Il duro mestiere del reporter di guerra, specialmente sul campo nel XXImo secolo
Punto di vista: Siete un reporter di guerra. Da sempre una della professioni più nobili sul campo. Letteralmente tutto quello che tiene insieme il mondo e una zona di guerra.
Zona di guerra dove ovviamente l’invasore non ha interesse che le atrocità della guerra siano compiute. Anzi tenderà a nasconderle il più possibile per dipingersi liberatore e vendicatore.
Ma siete reporter di guerra nel XXImo secolo, l’era che ha preso la TV del Dolore del Ventesimo e l’ha elevata in quella perversa forma d’arte che conosciamo. Quella dove è perfettamente accettabile fomentare la TV del Dolore. Dove le immagini viralizzabili e di impatto, i celebri “contenuti”, valgono di più della stessa conoscenza del fenomeno.
Quella dove l’Unione Europea denuncia la presenza di notizie usate come mezzo per sviare la conoscenza anziché diffonderla, per piegare la visione di un fenomeno a determinate ottiche.
Arriva quindi la denuncia da Valigia Blu: specialmente oggi, non è facile essere corrispondente di Guerra. Se poi sei Ucraino, è letteralmente un gioco al massacro.
Il duro mestiere del reporter di guerra, specialmente sul campo nel XXImo secolo
“Cari giornalisti. Non vi fornirò più contenuti gratis. Ho un lavoro da fare, ho la guerra in patria. Scusatemi”
Dear journalists. I am no longer making you content for free. I have job to do. I have war in my country. Sorry.
— Nika Melkozerova (@NikaMelkozerova) March 1, 2022
Risponde Nika Melkozerova, giornalista Ucraina, confermando nelle risposte di non aver bisogno di donazioni di denaro, ma di rispetto e della possibilità di fare il suo lavoro senza dover “produrre contenuti”.
Senza dover sciorinare le ormai infami “interviste in due minuti” per strizzare emozione fai da te da incastrare tra un balletto e un’opinionista.
E non è la sola: Terrell Jamaine Starr conferma un diffuso sentimento
Oh I know this. I can get killed and the most these networks will do is produce 30 second tribute video and move on to the next exploited piece of labor. I am down with it and these bloodsuckers. https://t.co/VPhDnN86RZ
— Terrell Jermaine Starr (@terrelljstarr) March 1, 2022
Se morissi, tutto quello che farebbe la mia emittente sarebbe un tributo video di trenta secondi e poi passerebbe a sfruttare il lavoro di qualcun altro. Ho finito di lavorare con loro e altre sanguisughe.
E le testimonianze di reporter di guerra stanchi del rischiare la vita per un lavoro bastardizzato in TV del dolore, banalizzato e spesso macchiato dalla campagna di disinformazione per cui “mio cuggino Russo è amico di Putin e dice che giornalista Terrorista” aumentano.
Un giornalismo diverso è possibile
Come anche le occasioni di solidarietà: nasce la Ukrainian Volunteer Journalists Initiative (UVJI), un network di circa 200 volontari disseminati sul territorio ucraino che offrono ai grandi network, soprattutto americani, servizi di reporting di vario genere sul campo.
Nasce l’Adami Media Prize. La ricerca di un giornalismo diverso, che racconti storie, che spieghi cosa accade nel mondo senza sfamare le voglie di sensazionalismo urlato di chi è pronto a scagliarsi contro il giornalismo ma esige scene di sangue in tributo.
Katapult, rivista tedesca assume giornalisti, reporter e fotografi ucraini con una paga congrua per fare informazione.
Perché la censura non è impedire alla disinformazione di stato filoPutin di estendere i suoi tentacoli ovunque, è impedire ai giornalisti di fare il loro lavoro.
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